giovedì 23 marzo 2017
Nella ripresa dell'antica discussione sui rapporti tra magistratura e politica, non poteva mancare il tema del ruolo e dei poteri del pm: comprensibile, tenuto conto che nella nostra tradizione giuridico-istituzionale proprio nell'indipendenza dal potere politico del titolare dell'iniziativa penale sta una parte significativa della garanzia, per i cittadini, di una magistratura serena e imparziale.
L'attenzione al tema non è di oggi, ma costituisce una costante della storia costituzionale. Basti pensare che, già nei lavori della commissione Forti nel 1945-1946 all'interno del Ministero per la Costituente, una delle proposte più radicali, quella della soppressione del Ministero della Giustizia, considerato una minaccia all'indipendenza della magistratura, venne esposta dal relatore Piero Calamandrei proprio argomentando dalla posizione del pm (il superamento di tale proposta darà poi luogo, in Assemblea costituente, alla creazione dell'attuale Csm). Diventa allora preliminare l'accordo sui caratteri del modello costituzionale (originale e complesso), anche perché oggi non interessato da significativi procedimenti di revisione costituzionale.
Un primo carattere del modello sta nell'inclusione del pm nell'ordine giudiziario: pur non avendo poteri decisori in senso stretto nel processo, egli è un magistrato, partecipe di una unitaria cultura della giurisdizione, al quale si applicano le disposizioni costituzionali che fanno riferimento ad autorità giudiziaria, magistrati e magistratura. In quanto magistrato, egli è, e deve essere indipendente. Un secondo carattere del modello sta in ciò che, rispetto al giudice, soggetto solo alla legge ai sensi dell'art. 102, le garanzie del pm sono demandate alle norme sull'ordinamento giudiziario: la giurisprudenza costituzionale riferisce le previsioni sull'indipendenza del pm (e in particolare la sua "base", cioè l'esercizio obbligatorio dell'azione penale) all'ufficio unitariamente inteso, e non a ogni suo singolo componente. Vi è dunque un margine di discrezionalità del legislatore nell'equiparare l'indipendenza del pm a quella del giudice, con il limite costituito dall'art. 107, comma 3, secondo cui i magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni: le eventuali attenuazioni dell'indipendenza (ad esempio, per quanto attiene l'organizzazione interna delle procure) dovrebbero ricollegarsi alle funzioni assegnate ai cosiddetti capi degli uffici, a partire dall'imprescindibile funzione di coordinamento a essi spettante.
Insomma, il pm non è solo parte imparziale (anche la pubblica amministrazione lo è, ai sensi dell'art. 97), ma indipendente, dentro un quadro specificato dal legislatore.
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