Ultimi nella classifica per lo sviluppo umano e primi per numero di giovani. Secondo la classifica di 193 Paesi stilata su dati 2019 dal sito di analisi economica e politica “24/7 wallst”, il Niger avrebbe la popolazione più giovane del mondo. Questa classifica, realizzata a partire dalle statistiche della Banca Mondiale, vede primeggiare molti Paesi dell'Africa subsahariana e l'Afghanistan. Al 25° posto c'è la Costa d'Avorio, con il 41,7% della popolazione sino a 14 anni di età. E si continua con Paesi più o meno noti e grandi: Sao Tomé, Guinea Bissau, Benin, Senegal, Nigeria, Gambia, Mozambico, Burkina Faso, Burundi, Angola, Chad e il Mali dei colpi di stato militari in serie, al 2° posto col 47,3% di giovani sotto i 14 anni. Infine, il nostro Niger, primo assoluto, con metà (49,8%) dei suoi 23 milioni di cittadini, costituita da giovanissimi. La “maglia color sabbia” è nostra e non sarà facile sottrarcela. Infatti, come ricorda con preoccupazione e amarezza il giornale di (finta) sinistra francese “Libération”, il Niger, coi suoi 7, 6 figli in media per donna è il Paese con la demografia più sviluppata nel mondo. Lo stesso giornale ricorda che la crescita “sfrenata” della capitale Niamey, non rispetta alcun schema prestabilito di organizzazione del territorio e che l'età media è di 15 anni. La maglia color sabbia, insomma, ci è dovuta.
«Ho deciso che non avrò figli a causa della crisi climatica ed ecologica», ha scritto sul cartello appeso al suo corpo ventenne Angelo, attivista di Extinction Rebellion, seduto sotto i portici di Bologna. Per questo gruppo anti-sistema il disastro causato dai cambiamenti climatici è irreversibile e fatale. Ci troviamo, naturalmente, in Italia, Paese che, come buona parte dell'Occidente, sperimenta l'«inverno demografico». Tutta una questione di prospettive e di fiducia nell'imprevedibile mistero della vita che si dipana dove abbonda la debolezza e la fragilità. In epoche non distanti e non sempre da idealizzare, mettere al mondo un figlio era il frutto del connubio tra l'incoscienza e la speranza. Molti di noi sono nati così, portati dalla cicogna o nati sotto un cavolo quando non c'era né casa né lavoro assicurato. L'unica cosa sicura era la scommessa sulla vita.
Non sarà facile portarci via la maglia color sabbia di primi della classifica che qui in Niger ampiamente meritiamo. Qui sarebbe inconcepibile andare il giro con il cartello che l'amico attivista Angelo ha appeso al collo in silenzio. Sarebbe un'offesa, una bestemmia, una profanazione, un'incomprensibile e inaccettabile arroganza. Qui della vita ci si fida ancora, con improvvisazione e, in fondo, con fiducia in ciò che ci supera e che non è frutto di calcoli, algoritmi o previsioni necrologiche. Abbiamo il deserto che avanza ogni giorno, coltiviamo ed esportiamo arachidi che facilitano l'inaridimento, siamo accerchiati da gruppi armati terroristi, aspettiamo la stagione delle piogge per seminare, facciamo le elezioni per ridistribuire parte di quanto rubato negli anni precedenti, ci sposiamo per allegria e mettiamo al mondo figli. In fondo crediamo che la vita vale la pena e che non delude chi crede in lei. Da uno dei figli del Sahel, nato in dubbie circostanze, nascerà quel “messia” che alcuni stanno aspettando, il campione di calcio dei prossimi mondiali o, banalmente, un pianto che due braccia di madre trasformeranno in sorriso per tutti.
Niamey, 20 giugno 2021
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