Giornata dei poveri: una parabola e un insegnamento, anzi quattro
mercoledì 21 novembre 2018
Le cronache ecclesiali digitali hanno raccontato con numerosi post, nei giorni scorsi, le parole e i gesti di Francesco per la Giornata mondiale dei poveri, da lui stesso istituita al termine del Giubileo della Misericordia. A esse ha fatto da degno complemento la “parabola” raccontata sul blog “Vino Nuovo” ( tinyurl.com/yagvtftp ) da Paola Springhetti, un'ottima specialista di “giornalismo sociale”, sicuramente immune da usi strumentali o solo retorico-emotivi delle storie che toccano la povertà, l'emarginazione, il disagio. Parabola che l'autrice conclude, come vuole il genere letterario, formulando l'insegnamento da trarne, e cioè che «i poveri vanno ascoltati». Ma essa ne contiene altri quattro. Il fatto si svolge in una domenica imprecisata, all'uscita dalla Messa, e qui c'è il primo insegnamento: si può vivere la «giornata dei poveri» senza aspettare la XXXIII del tempo ordinario. Il protagonista è Giovanni, che esercita in questa parrocchia il «ministero istituito» del povero, cioè chiede un'elemosina a persone che lo conoscono e lo assistono anche e meglio per altre vie: mi pare evidente il secondo insegnamento. Fargli l'elemosina è anche l'occasione, almeno per l'autrice, per «scambiare due parole» e «aggiornarsi». Ecco il terzo insegnamento: «Quante cose si scoprono stando tutta la mattina sulla soglia della chiesa». Infatti Giovanni, che «in pratica, non ha niente», ha visto «qualcuno che sta peggio di lui»: dall'altro lato del portale c'è una donna dai «capelli stopposi, le spalle che cascano in avanti, il capo chino». Le ha dato lui stesso «qualche soldo», ma in più attrae l'attenzione sul suo stato: «Quella lì sì, che è messa male!». Così Giovanni, oltre a evocare la figura evangelica della «vedova povera» che getta nel tesoro del tempio «più di tutti gli altri», ci dice anche – quarto insegnamento – che c'è sempre qualcuno che sta peggio di noi: siamo noi che non lo vediamo.
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