«Umiltà» e «giornalista» sono due sostantivi che difficilmente vanno insieme. Anzi, in genere sono considerati antitetici, anche per colpa di chi interpreta questa professione come un esercizio di potere (in proprio o per conto terzi), e non come un servizio, come un mezzo di affermazione personale e non di ricerca della verità. Il discorso in proposito lungo, lunghissimo, e non è questo il luogo; ma non c'è dubbio che con Internet e il dilagare dei social la percezione della distanza tra i sostantivi di cui sopra è aumentata di molto. Eppure, così come l'umiltà «è una virtù essenziale per la vita spirituale – ha detto papa Francesco una settimana fa incontrando un gruppo di giornalisti – direi che può essere anche un elemento fondamentale della vostra professione. Qualcuno di voi potrebbe dirmi: "Padre, nel nostro lavoro sono altre le caratteristiche che contano: professionalità, competenza, memoria storica, curiosità, capacità di scrittura, abilità nell'indagare e nel porre le giuste domande, velocità di sintesi, abilità nel rendere comprensibile al vasto pubblico ciò che accade...". Certamente. Eppure l'umiltà può essere la chiave di volta della vostra attività».
E sì, proprio l'umiltà. Perché «ognuno di noi sa quanto sia difficile e quanta umiltà richieda la ricerca della verità. E quanto sia più facile non farsi troppe domande, accontentarsi delle prime risposte, semplificare, rimanere alla superficie, all'apparenza; accontentarsi di soluzioni scontate, che non conoscono la fatica di un'indagine capace di rappresentare la complessità della vita reale. L'umiltà del non sapere tutto prima è ciò che muove la ricerca. La presunzione di sapere già tutto è ciò che la blocca». Allo stesso tempo tale atteggiamento aiuta a prevenire gli errori, in quanto se «una rettifica è sempre necessaria quando si sbaglia», questa tuttavia «non basta a restituire la dignità, specie in un tempo in cui, attraverso Internet, una informazione falsa può diffondersi al punto da apparire autentica... Per questo, voi giornalisti dovreste sempre considerare la potenza dello strumento che avete a disposizione, e resistere alla tentazione di pubblicare una notizia non sufficientemente verificata».
Più facile a dirsi che a farsi, si potrebbe pensare, considerando quello che abbiamo ogni giorno davanti agli occhi. Ma invece assolutamente irrinunciabile per un vero giornalista, perché «in un tempo di troppe parole ostili, in cui dire male degli altri è diventato per molti un'abitudine, insieme a quella di classificare le persone, bisogna sempre ricordarsi che ogni persona ha la sua intangibile dignità, che mai le può essere tolta. In un tempo in cui molti diffondono fake news, l'umiltà ti impedisce di smerciare il cibo avariato della disinformazione e ti invita ad offrire il pane buono della verità». E dunque «giornalisti umili», secondo la visione di Bergoglio, non è più un'antinomia ma la definizione di uno stile. Perché essere umili non vuol dire essere «mediocri», ma «consapevoli che attraverso un articolo, un tweet, una diretta televisiva o radiofonica si può fare del bene ma anche, se non si è attenti e scrupolosi, del male al prossimo e a volte ad intere comunità». È in questo modo che la comunicazione si fa strumento «per costruire, non per distruggere; per incontrarsi, non per scontrarsi; per dialogare, non per monologare; per orientare, non per disorientare; per capirsi, non per fraintendersi; per camminare in pace, non per seminare odio; per dare voce a chi non ha voce, non per fare da megafono a chi urla più forte». Con umiltà. Sempre.
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