Anche il calcio ha avuto il suo Schindler, il suo nome è Géza Kertész, ungherese di Budapest. Un uomo nato alla fine dell'800 e che da noi ha allenato dal 1925 (lo Spezia) fino al 1940 (la Roma) navigando per mezzo sud fino a Catania. Quando nel 1943 si interrompono i campionati da «nazionalista fervente», Géza fa ritorno in patria per allenare l'Ujpest. In un'Ungheria braccata dai nazisti assiste alla deportazione nei campi di sterminio di amici, ex compagni di squadra e di molti dei suoi giocatori. Da uomo d'azione non può rimanere a guardare. Così con l'avversario di una vita, Istvan Toth, il mister del rivale Ferencvaros, Kertész mette su una squadra speciale che ha il compito preciso di stoppare l'Olocausto. Intere formazioni di condannati a morte certa vengono presi sotto la custodia del tandem provvidenziale Géza Kertész-Toth. Géza si spinge oltre, pur di portare in salvo il maggior numero di ebrei del ghetto di Budapest si traveste da soldato della Wehrmacht. Il salvataggio perfetto sta per andare in porto, ma la Gestapo lo marca stretto, lo bracca e imprigiona lo “Schindler del pallone”. Il 6 febbraio 1945 Kertész viene fucilato. Vittima del nazismo prima, e poi dello stalinismo che ne ha cancellato la memoria il suo nome è caduto nell'oblio. Ma oggi il popolo ungherese porta fiori alla sua tomba nel cimitero degli eroi, e anche a Catania c'è chi vive e passeggia in via Géza Kertész.
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