«I vostri figli non sono figli vostri... / sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. / Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. / Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono (...) / voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti. / L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane (…)».
Era il 1923 quando il poeta libanese Khalil Gibran pubblicò a New York una raccolta di ventisei riflessioni poetiche sulla vita, "Il profeta", di cui questi versi appena ricordati, "I vostri figli", sono parte. In un'epoca in cui i princìpi sui quali una società deve fondarsi sembrano ridursi a una mera sommatoria di diritti (o presunti tali) individuali, ivi compreso un presunto "diritto al figlio", non è forse inutile ricordare come l'idea stessa di paternità e maternità abbia sempre sottinteso, nella sua accezione più autentica, un concetto di servizio piuttosto che di proprietà. E Gibran è solamente uno dei tanti autori che nel corso dei secoli, a tutte le latitudini, ha voluto ribadire questa verità di fronte a ogni deriva contraria.
Una verità, un principio, da sempre affermato dalla dottrina della Chiesa. Una verità, un principio, che papa Francesco ha voluto sottolineare l'ultimo giorno dell'anno appena trascorso, coincidente con la prima domenica dopo il Natale in cui si celebra la festa della Santa famiglia di Nazaret, ricordandoci come «I genitori di Gesù vanno al tempio per attestare che il figlio appartiene a Dio e che loro sono i custodi della sua vita e non il "proprietario". E questo – ha aggiunto papa Bergoglio – ci fa riflettere. Tutti i genitori sono custodi della vita dei figli, non proprietari, e devono aiutarli a crescere, a maturare». Nel 2011, nella medesima ricorrenza, papa Benedetto, quasi con le stesse parole, aveva auspicato che «l'amore, la fedeltà e dedizione di Maria e Giuseppe siano di esempio per tutti gli sposi cristiani, che non sono gli amici o padroni della vita dei loro figli, ma i custodi di questo dono incomparabile di Dio».
È del tutto evidente quanto sia radicale il cambio di prospettiva tra l'essere "custodi" piuttosto che "padroni", o anche "amici" – come negli ultimi decenni sembra andare tanto di moda. Perché se nel corso della storia il rapporto tra genitori e figli, nelle sue diverse declinazioni – e ben sappiamo quante volte sbagliate – è stato quello su cui alla fine si è radicata ogni architettura sociale, mai come oggi questa rischia di essere sovvertita in un contesto in cui il desiderio viene affermato come, appunto, un diritto. Al contrario, come disse ancora papa Francesco nel febbraio di due anni fa, «un figlio non si ama perché è figlio: non perché sia bello, e perché sia così o cosà; no, perché è figlio! Non perché la pensa come me, o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio: una vita generata da noi, ma destinata a lui, al suo bene, al bene della famiglia, della società, dell'umanità intera». Non è insomma solo un'esperienza dei genitori. C'è anche «la profondità dell'esperienza umana dell'essere figlio e figlia, che ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell'amore, che non finisce mai di stupirci. È la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino. Quante volte trovo le mamme qui che mi fanno vedere la pancia e mi chiedono la benedizione ... perché sono amati questi bimbi prima di venire al mondo. E questa è gratuità, questo è amore; sono amati prima, come l'amore di Dio che ci ama sempre prima».
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