Una bambina è concepita in vitro in una clinica di Singapore. Vedendola crescere, i genitori - una coppia cino-tedesca con problemi di infertilità - si rendono conto che nei suoi tratti qualcosa non torna.
Si scopre in effetti che il seme utilizzato - errore tutt'altro che infrequente- non apparteneva al padre ma a un donatore anonimo di origine indiana. La coppia si rivolge alla Corte Suprema di Singapore. Che riconosce il danno, sentenziando che la clinica dovrà risarcire. Non tanto per l'errore medico in sé, quanto per il fatto di aver causato una «perdita di affinità genetica».
La sentenza stabilisce quindi che il Dna "giusto" ha un valore monetario che non può essere intaccato. E che possono esistere esseri umani "geneticamente sbagliati".
Secondo la Corte, la società dà un valore altissimo al legame genetico con i propri figli, ragione per la quale una coppia infertile è disposta a spendere un sacco di soldi pur di riuscire a concepire. Se questo legame è compromesso, se gli occhi e la pelle della creatura non sono del colore giusto, si crea un danno che va risarcito.
Questo significa che un figlio adottato vale di meno? O che, azzardano i bioetici, in caso di divorzio l'affidamento sarà stabilito sulla base della percentuale di geni condivisi?
Soprattutto, quale sarà il destino di quella bambina geneticamente scorretta?
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