sabato 31 gennaio 2015
Abituato ai tempi dilatati dei matrimoni in chiesa in cui, anche volendo, non si arriva mai in ritardo, privilegio che solo la sposa può esibire, il primo matrimonio civile a cui ho partecipato era già finito mentre traversavo la piazza del municipio consolato dal gruppetto elegante che mi precedeva senza fretta. Scoprii, con stupore, che la cerimonia era plurima e veloce: fuori gli uni, avanti gli altri; i miei erano già sulla strada del ristorante per un rinfresco in piedi con tanti auguri e via, che non c'è tempo da perdere.Anche i nuovi funerali civili, mi ci sto abituando, ci si abitua a tutto, si sono mondati dei tempi mutuati dalla liturgia su cadenza di solenne processione, trasposti gli ori e gli argenti dei paramenti sacri negli ottoni e nei clarini delle bande civiche. Persa la baldanza della riscossa ideologica che delegava un funzionario a celebrante, sostituiva l'omaggio dell'incenso con la retorica elogiativa, la consegna del corpo all'attesa della reincarnazione con l'affidamento dello spirito alla rivoluzione, quello che rimane è un generico assembramento con diverse gradazioni di coinvolgimento da cui sgorga improvviso l'applauso. L'applauso si impone tra i convenuti riconsegnandoli all'unica cittadinanza riconosciuta ed accettata: spettatori.
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