Abituato ai tempi dilatati dei matrimoni in chiesa in cui, anche volendo, non si arriva mai in ritardo, privilegio che solo la sposa può esibire, il primo matrimonio civile a cui ho partecipato era già finito mentre traversavo la piazza del municipio consolato dal gruppetto elegante che mi precedeva senza fretta. Scoprii, con stupore, che la cerimonia era plurima e veloce: fuori gli uni, avanti gli altri; i miei erano già sulla strada del ristorante per un rinfresco in piedi con tanti auguri e via, che non c'è tempo da perdere.Anche i nuovi funerali civili, mi ci sto abituando, ci si abitua a tutto, si sono mondati dei tempi mutuati dalla liturgia su cadenza di solenne processione, trasposti gli ori e gli argenti dei paramenti sacri negli ottoni e nei clarini delle bande civiche. Persa la baldanza della riscossa ideologica che delegava un funzionario a celebrante, sostituiva l'omaggio dell'incenso con la retorica elogiativa, la consegna del corpo all'attesa della reincarnazione con l'affidamento dello spirito alla rivoluzione, quello che rimane è un generico assembramento con diverse gradazioni di coinvolgimento da cui sgorga improvviso l'applauso. L'applauso si impone tra i convenuti riconsegnandoli all'unica cittadinanza riconosciuta ed accettata: spettatori.
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