Di tanto in tanto, si legge che qualche anziano è stato colto con le mani nel sacco mentre, in un supermercato, sottrae un po' di alimenti, giusto per sbarcare il lunario. Immagino allora che la «giustizia» farà il suo corso, con i suoi gradi di giudizio, i suoi costi e i pericoli cui si espongono gli uomini della legge nell'affrontare il vecchietto in questione. Io, a volte, frequento i supermercati, per farmene una borsata di cibi. Così ho imparato che, a parità di volume del carrello pieno, corrispondono costi completamente diversi fra loro. Pasta e uova, wurstel, farina gialla per la polenta sono quel che portano a casa quelli che non possono spendere. Come si fa a riconoscere i supermercati per i più indigenti? Due sono le maniere. La prima consiste nel guardare gli acquirenti. Sono quelli che più assomigliano al protagonista, nelle varie iconografie, delle quattordici stazioni sul Golgota. Gli occhi, in particolare, sono la loro intera biografia. La seconda maniera è merceologica: i supermercati dei poveri hanno pochissimi scaffali dedicati ai cibi per cani e gatti, chissà poi perché. Sono a fare spesa tra i banchi ed ecco che un anziano si infila una scatola di pomodori nella tasca destra del cappotto. Pare quello dell'omonimo racconto di Gogol, talmente malconcio che il sarto ne rifiuta la riparazione. Ora tocca all'altra tasca. Mi avvicino al guardiano e gli faccio una scarica di complimenti. Lui abbocca e così lo distraggo per bene. Il vecchietto si allontana, ha gonfia anche l'altra tasca. Sono complice di un delitto? Mi sento contento così.
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