mercoledì 22 giugno 2016
Per quel poco o tanto di cartesianesimo ch'è rimasto tatuato in quelli della mia generazione, avrei preferito qualche definizione esplicita (se non cogente) di “male”, “perdono”, “fraternità”, le tre parole che sottotitolano il saggio di Franco Riva, La domanda di Caino (Castelvecchi, Roma 2016, pagine 122, euro 16,00), e ne scandiscono le tre parti.Quanto al male, per esempio, si nota nell'autore una sovrapposizione (che è già in Lévinas) con la “sofferenza”, ma si tratta di realtà che andrebbero analizzate separatamente, per poterne comprendere (o almeno illuminare) la sovrapposizione. Riva è tassativo: «Il male non si riduce né a un'idea del male né a un punto di vista, culturale o edificatorio che sia. Il male, la sua realtà, semplicemente non si lascia ridurre. Il male è reale». Affermazione metafisica che fa giustizia dei suggerimenti del tipo: «Il male come carenza di bene». Dite a un malato di cancro che il suo problema è di essere carente di salute, e vedrete come vi risponde. Riva insiste sul paradosso del male: «Il male non si spiega, non si dispiega. Per un motivo molto semplice: fuori dal suo paradosso, il male non è più ciò che è, non è più essere e non essere insieme». Ma, osserviamo, non è solo paradosso: il male, propriamente, è mistero e anche il filosofo dovrebbe razionalmente riconoscerlo, ammettendo però che la razionalità rinvia a un “oltre”. Del resto Gesù non ha “spiegato” il male (che Kierkegaard usava come sinonimo di “peccato”, e Riva ce lo ricorda): ha preso il male/peccato su di sé, in espiazione redentiva, lasciando intatto il mistero.Sul perdono, Franco Riva (ordinario di Etica sociale, Antropologia filosofica e Filosofia del dialogo nell'Università Cattolica di Milano) offre considerazioni appropriate: «Senza perdono muore anche la speranza e il male così fissato nella sua gravità insormontabile continua a produrre ancora più male perché genera il male del pensiero complice che a nulla valga lottare contro il male». Il perdono contiene l'asimmetria del dono, e non va banalizzato: «Nel perdono facile rientrano anche il narcisismo e la benevolenza. Il narcisismo del perdono è la compiacenza per sé stessi e la propria disponibilità che sfrutta un'occasione privilegiata di eroismo. Il perdono della benevolenza sembra spostare l'accento sulla persona che ha sbagliato e che va compresa, ma è difficile stabilire il confine oltre il quale ci si allinea con l'impunità del colpevole». E non va confusa la dimensione privata del perdono (per il male ricevuto) con la sfera pubblica, che riguarda la giustizia: «Da nessuna parte sta scritto che Gesù ci imponga di perdonare il male fatto a qualcun altro».È nella terza parte che viene spiegato il titolo del saggio. “La domanda di Caino”, lo si è già capito, è: «Sono forse io il custode [responsabile] di mio fratello?». Caino prende separatamente i termini “fratello” e “guardiano”, “fraternità” e “responsabilità”, e tuttavia nel «metterli con il punto interrogativo indovina in qualche modo la verità». Infatti, «non si è per davvero fratelli prima di essere responsabili. Non si è veramente responsabili senza incamminarsi sui sentieri della fraternità».Lo stile di Riva è suggestivamente anaforico, in dialogo con letterati e filosofi, con predilezioni per Buber, Jonas, Lévinas, Marcel, Ricoeur. In copertina è riprodotto il troppo divulgato Ritorno del figliol prodigo di Rembrandt: mi piacerebbe che gli editori siglassero l'impegno di non utilizzare graficamente quel quadro (ormai «sdato», come Arbasino, parlando d'altro, diceva ai suoi tempi) almeno fino al 2034.
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