«Immagina, anzitutto, che un fragile stelo sia un grido, che alcune foglie chiazzate d'oro siano inerti punti di sofferenza e qualche gemma prossima a sbocciare sia l'annuncio di una imminente fioritura della pianta, alle prese con la morte che ne è come abbagliata. Immagina, poi, delle spine via via lungo lo stelo di una rosa che lentamente l'amore ha guidato verso la sua profumata pienezza. Che sia questa rosa il messaggio fraterno d'un mattino, inviato ai nostri compagni di sfortuna». Tocchi di mitezza e di dolore, di gentilezza e di spine, dalla prosa meravigliosa di Edmond Jabès. Già interprete di trascorse e mai dimenticate sciagure, sa accompagnare il cuore in questo nostro tempo in cui di nuovo la morte ci ha sfidati e ancora, quindi, dev'essere "abbagliata" dalla fioritura di gemme. Ai nostri cari, isolati nelle case, compagni di ospedale; a chi è intristito da strappi familiari, a chi abbiamo perduto in solitario trapasso, giunga come una rosa il nostro messaggio fraterno. «Le dita mi sanguinano: nel coglierla sono apparso, non so perché, molto maldestro»: le nostre mani ferite dell'abbraccio mancato.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: