«Un pò fuori fuoco e controluce, le mie foto come la vita.
Almeno non mi si può dire che non sono coerente!». Leggo Lisa e, in un attimo, penso alla fotografia. E alla vita. La vita e la fotografia. La fotografia nella vita. La fotografia della vita. E, ancora, la fotografia che prende vita. Ci sono momenti – nell’esistenza di ognuno di noi – che somigliano a foto fuori fuoco, come quando non inquadri bene una situazione e sottovaluti quella parola, quel gesto, quel tono di voce. Lo vedi, ma pazienza. “Avrò l’occhio stanco”, pensi. “Domani si metterà tutto in perfetto fuoco”, immagini. Invece a volte passa un giorno, un mese, o anni, e rimani a vedere le cose senza nitidezza. Poi un bel giorno decidi di prendere in mano la vita come fosse una reflex manuale: giri l’obiettivo, metti a fuoco e improvvisamente vedi tutto bene: dettagli, luci e ombre. Tutto. A quel punto ti chiedi perché non hai girato prima l’obiettivo verso il fuoco giusto. La fotografia è da sempre lo specchio del nostro essere di quel momento. Ora esornativa, talvolta didascalica, nasce un attimo prima nella mente e nel cuore di chi la scatta. Che poi il risultato sia quello sperato è un altro paio di maniche. Vivere la vita con gioie e dolori di ogni giorno è la stessa cosa. La fotografia è come la vita: c’è chi la fa, e chi la guarda. Ognuno, dalla sua prospettiva, la carica di colori e significati. Il bello è che in una foto ognuno può vedere qualcosa di diverso, come un quadro o una qualsiasi forma d’arte. La cosa sconvolgente è che spesso neanche il titolare assunto a tempo indeterminato della propria vita riesce a vedere quello che si scorge, con grande facilità, da fuori. A volte, in controluce, si riesce a delineare meglio una vita che ha ancora moltissimo da regalare. Sosteneva Henri Cartier-Bresson: «Fare una fotografia vuol dire allineare la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere».
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