Adesso va di moda. Anche in Francia il Ministero della Difesa è al femminile. L'Italia non è da meno e dopo Roberta Pinotti è il turno di Elisabetta Trenta. Spiace davvero che il femminismo si sia poi tradotto in termini di pari opportunità militari. Magari, per la salvaguardia della differenza di genere, introdurranno una fascia rosa ai militari e alle armi che ovviamente aumenteranno di numero e qualità con buona pace dell'Italia costituzionale. L'approccio è in piena contininuità coi governi precedenti, da Paolo Gentiloni a Giuseppe Conte la musica nel Sahel non cambia. Militaristi all'estero come in patria, in entrambi i casi, si afferma, per legittima difesa. Così infatti, per stravolgimento colpevole della realtà, colei che presiede alle scelte miltari della Penisola, ha legittimato l'impegno crescente dell'Italia in Niger. I due Paesi, secondo Trenta, sono di fronte a sfide comuni: il terrorismo e la migrazione clandestina. Appare dunque del tutto giustificato, per la ministra, che l'Italia si coinvolga al fianco di un alleato strategico come il Niger, primo Paese al mondo per gli aiuti ricevuti. Tutto questo e altro appaiono evidenti nella foto di famiglia pubblicata dal quotidiano governativo "Il Sahel". Nella foto la ministra si trova, in abito civile, tra il presidente Mahamadou Issoufou, il direttore delle cerimonie e, com'è naturale, l'ambasciatore italiano.
Nello stesso giornale, il giorno prima, la ministra Trenta appare nella foto in tenuta militare, mentre porge un pacco-dono al ministro della Difesa del Niger, Kalla Moutari. Si tratta dell'ultimo, per ora, della serie che, come ha ricordato la signora Trenta, ha visto l'Italia offrire ben otto regali al governo del Niger in un tempo relativamente breve. Quest'ultimo, del valore di 167.167 euro, è costituito da materiale medico per le forze armate nigerine. Pacchi e regali in cambio della presenza accettata e financo gradita di militari italiani nel Paese. Due foto per due Italie, copie sbiadite eppure reali dell'attuale Paese, entrambe false. Falsa quella in tenuta militare tra i militari, inutile e oltraggiosa nel contesto di un Sahel che di tutto ha bisogno meno che di armi e militari. Uniformi ridicole e inutili come quelle indossate sistematicamente da uno dei vice primi ministri della Repubblica italiana. Vigile del fuoco, guardia mascherata, vigile o arlecchino della politica di un Paese che rischia di galleggiare sulle ceneri della democrazia, eppure robusto nella sua Costituzione. Militari col pacco dono che suona come un'offesa al buon costume delle tradizioni del Sahel. L'immagine rituale di un sistema che da un lato bastona e dall'altro carezza, con lo stesso mondo umanitario da tempo tenuto in ostaggio dalle politiche espansioniste del neoliberalismo selvaggio.
L'altra foto, come ricordato poco più su, è quella di famiglia, con il completo che conviene al palazzo. È falsa anche questa. Non si tratta di una foto di famiglia perché Elisabetta Trenta non conosce la famiglia del popolo nigerino. Non sospetta che ciò che ci accomuna non è la lotta al terrorismo o alla migrazione clandestina. Ciò che ci unisce è quanto lei non ha notato perché bisogna volerlo imparare. La sabbia è quanto abbiamo in comune noi e lei, arrivata giusto alla fine del mese più corto per non perdere tempo in quest'angolo d'Africa e di mondo. Non ha visto, la ministra, il dolore che solo la sabbia sa custodire per chi viene con le mani vuote per ricevere e non per fingere di dare. Nella foto di famiglia mancavano i grandi protagonisti del Sahel: gli invisibili che nel silenzio annunciano il parto di un mondo differente. Nella foto non apparivano i bambini, le madri, i contadini e i migranti irregolari che lei è venuta per combattere. Questi e altri sono coloro che la ministra della Difesa non aveva in programma di incontrare. Avrebbero potuto scompaginare le cerimonie protocollari di una visita finalizzata a imbrogliare la vita dei poveri. La sua non era una foto di famiglia, ma l'inutile ricordo di una visita che la sabbia ha provveduto a seppellire il giorno dopo, senza rimpianto.
Niamey, marzo 2019
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