Il vecchio Dino Tiezzi, sopravvissuto all'eccidio di Civitella in Val di Chiana nel giugno 1944, ha le lacrime agli occhi. Non piange per aver visto a soli 10 anni il volto di suo padre sfigurato da una pallottola esplosiva e nemmeno per il fratello ucciso con un colpo alla tempia. Ha già pianto troppo insieme alla madre e all'altro fratello. Oggi piange perché ha paura che le nuove generazioni non capiscano cosa siano la guerra, il dolore, la distruzione e la fame. Un timore inquietante che chiude il monumentale docufilm Lili Marlene di Pietro Suber, con la collaborazione di Amedeo Osti Guerrazzi e Donatella Scuderi, in onda in due parti ieri sera e stasera alle 21.15 su Focus (canale 35 del digitale terrestre) a ottant'anni dall'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale (10 giugno 1940). Lili Marlene, che trae il titolo dall'omonima canzone della Dietrich divenuta popolare tra i militari di allora, merita di essere visto, anche perché mettendo al bando la retorica non risparmia nulla al telespettatore: né le atrocità, né le controversie e le ferite ancora aperte in seguito a una guerra che come tutte le guerre non conosce vincitori e vinti, buoni e cattivi. La guerra rende tutti uguali, tranne le vittime innocenti come quelle di Civitella o di Sant'Anna di Stazzema o le donne e le ragazze stuprate in Ciociaria dai cosiddetti goumiers, i militari marocchini inquadrati nell'esercito francese. In 160 minuti, il docufilm racconta con rigore e intensità dieci storie, alcune delle quali poco conosciute, attraverso la ricostruzione dei fatti, l'intervista sul posto ai testimoni diretti e il supporto di immagini di repertorio. Il tutto arricchito da interventi di politici come Giorgio Napolitano e Gianni Letta e di personaggi dello spettacolo come Pippo Baudo, Renzo Arbore, Pupi Avati e le Gemelle Kessler. Ma la storia è complessa e anche le responsabilità non sempre sono chiare. Suber prova a documentare le ragioni di tutti, mettendo una di fronte all'altro anche un'ex ausiliaria della Decima Mas e un ex partigiano nel tentativo di tenere aperto un dialogo su eventi che ancora oggi dividono nella speranza si arrivi a una riconciliazione che ottant'anni dopo appare ancora lontana.
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