La colpa delle guerre è delle «fedi». Il filosofo Emanuele Severino sintetizza sul Corriere della sera («Religioni e pace, le fedi e la lotta per il potere», giovedì 24) un suo intervento in un "Dialogo interculturale sulla pace" alla Gregoriana. Un'affermazione del genere è abbastanza sorprendente anche se diffusa. Ed è vero che Severino mette sullo stesso piano «ad esempio cristianesimo e islam [che] hanno in comune la Bibbia e la filosofia greca» (?), ma poi si scopre che, per lui, tutto è fede, giacché «ogni sapere e ogni conoscenza sono divenuti una fede»: anche «la scienza, anche l'arte» e persino la filosofia, almeno nel senso che «fede» è «la "verità" a cui si rivolge la tradizione filosofica». E lo è anche «la tecnica» che, se «adeguatamente intesa, è la fede più potente». Poiché «ogni fede è la volontà che il mondo abbia un certo senso piuttosto che altri [...], ogni fede è irrimediabilmente in conflitto con ogni altra», anzi «la fede è la volontà stessa» e, dunque, «se tale volontà è una molteplicità di volontà contrapposte, allora la radice di ogni conflitto è l'esistenza stessa della fede». Per questo, conclude Severino, «le fedi si combattono» e, «per vincere, debbono affidarsi alla potenza maggiore oggi esistente sulla Terra: la tecnica, appunto». Sbaglierebbe chi ne deducesse che, almeno, non è colpa soltanto delle fedi religiose e che un autorevole "laico" attribuisce anche a scienza e tecnica qualche responsabilità. Questa assimilazione di ogni volontà alla fede, rivela, infatti, non solo un assurdo livellamento di tutte le fedi religiose, che non sono affatto equiparabili (vedi l'assurda identificazione nella Bibbia di cristianesimo e islam e, dunque, l'incomprensione di che cosa è veramente fede), ma anche l'esistenza di un'Antilingua filosofica che nega la verità stessa cui dovrebbe rivolgersi, vale a dire la diversità ontologica e di piani fra le diverse «fedi» elencate e in primis del cristianesimo. Si consiglia una rilettura del Vaticano II (Gaudium et spes, Nostra ætate...).
LOGICA OSSIMORA
L'ossimoro è quel «procedimento retorico che consiste nell'accostare a una parola un'altra parola di senso contrario» (p. es.: la luce buia) e deriva dal greco oxýs (acutamente) e da un termine di origine indoeuropea mörós (pazzo - cfr Deli). Il Manifesto, («La Chiesa dei palazzi e le voci cancellate, di Filippo Gentiloni, venerdì 25), per sostenere che «il cattolicesimo di oggi contribuisce a dividere in due il Paese», usa una logica ossimora, che finisce per smentirlo. Accusa i «palazzi» (Vaticano e Cei) di «centralismo», ma insieme registra «un ricco pluralismo di esperienze e di voci», che - scrive -appaiono «silenziose» anche se «la vera forza del cattolicesimo» è costituita «dalla forza e dal numero delle associazioni» («AC, CL, Sant'Egidio, Focolarini e centinaia di altre»). Poi, per dimostrare lo «spostamento a destra del cattolicesimo italiano», cita Berlusconi il quale «è arrivato a dire che un cattolico non può essere di sinistra» e trascura quei giornali (di pari affidabilità) che giorni fa parlavano di un 75 per cento di cattolici nel nuovo PD. Infine la solita rivalutazione di quelli che non ci sono più: «Quella Democrazia cristiana che permetteva di evitare schieramenti decisi e parziali». Ma la Dc non era la longa manus del Vaticano, quella che spaccava il Paese?
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