martedì 13 febbraio 2024
Era una milanese antica, milanese della vecchia Milano. La signora P. era la custode, insieme a suo marito, del liceo Parini. Sui cinquanta, i capelli neri ingrigiti, gli occhi chiari, pallida, sempre in grembiule nero. Di poche parole, più in dialetto che in italiano. Brusca, eppure gentile. Governava la folla dei nuovi ginnasiali, a ottobre, come pulcini: tu butta quella sigaretta, tu fila in classe. Con i liceali, e soprattutto con i “compagni”, di ordini era difficile darne. Tuttavia, anche quelli che facevano i picchetti nei giorni di sciopero avevano rispetto della signora P.: come si avvicinava, le facevano largo. In quanti ne aveva soccorsi, lei, in un giorno di febbre, maternamente. Nel grande atrio, sotto a una scala, in primavera P. lasciava una scatola di cartone per la sua gatta, che ci andava a partorire. Nei giorni di sciopero io me ne stavo lì sotto per ore, seduta per terra, a contemplare la cucciolata. P. passava e mi guardava stupita. Una volta, ferma anche lei a guardare i gattini, mi lasciò una carezza sui capelli – quasi in un’affinità riconosciuta. A ventun anni, apprendista cronista, tornai al Parini per scrivere di un’agitazione. Quando l’assemblea finì P. andava ricacciando tutti a lezione. “Tu, in classe”, disse anche a me. “Io adesso sono una giornalista!”, risposi, fiera. Rise la sua faccia da mamma: “Giornalista? Fila in classe, bambina!”. © riproduzione riservata
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