domenica 15 luglio 2012
«Stay, illusion». È una delle invocazioni più importanti della letteratura e del teatro di ogni tempo: sugli spalti del castello di Elsinore Orazio vede lo spettro del re morto, padre di Amleto e sa che, come è apparso, svanirà, essendo un fantasma. Lo implora di fermarsi, di perdurare: «Stay, illusion!, Fermati, illusione!» Non è solo il senso supremo della tragedia più grande e famosa di ogni tempo, ma della nostra stessa esperienza umana. Di fronte a ogni apparizione, a ogni sogno, a ogni barlume di visione, noi preghiamo che quell'immagine si fermi. Che sia dolce, felice, rasserenante. Che sia cupa, inquietante, ma svelatrice, indicativa di qualcosa che ci riguarda e dobbiamo conoscere, come nel caso del castello di Elsinore. Ma il fantasma, sempre, come è apparso dilegua, e l'uomo sempre lo implora inutilmente di fermarsi, di consistere. Poiché ci fa soffrire la cangianza continua del nostro essere, che comprende la fugacità della vita, l'oblio, il trascorrere irrefrenabile del tempo. Eppure questo è il nostro destino, a cui non solo non possiamo, ma non dobbiamo sfuggire: il nostro cuore è stato creato per serrare ogni immagine amata e ogni ricordo. E tramandarla, passarne il testimone ad altri. Vincendo, con la memoria, la finitudine del tutto, anticipando un ulteriore ma prossimo tempo infinito.
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