martedì 12 gennaio 2021
E chi sarebbero gli «sbrindelloni e improvvisatori»? Giovedì scorso sulla “Repubblica” Natalia Aspesi ricorda in un pagina intera, la 21, una sua intervista del 1980 a una madre torinese, grata a San Patrignano per aver salvato suo figlio. Il virgolettato è della madre anonima: «Per tentare di salvare il tossicomane non c'è altra strada che obbligarlo». Nonostante gli errori commessi, San Patrignano «rappresenta in Italia l'unico tentativo di affrontare la tossicodipendenza in modo diverso da quello istituzionalizzato o delle comunità aperte a un viavai di sbrindelloni e improvvisatori». Nessun commento di Aspesi. Possibile che sia d'accordo? Che ignori che non le prime, ma le primissime a intervenire, con programmi specifici e comunità, sono state anche altre persone, moltissime riconducibili alla comunità cristiana? Strana dimenticanza o laica supponenza?
Qualcuno deve essersi fatto sentire. Così domenica, sempre su “Repubblica” a pagina 18, Maria Novella De Luca dà voce alla galassia altra («Droga, le 500 comunità oltre al modello Sanpa. “Restare è una scelta”»). Dà voce a Massimo Barra di Villa Maraini e a Riccardo De Facci della Cnca, che dice quel che tutti sappiamo: «Negli anni Ottanta, oltre a San Patrignano, c'erano almeno 150 altre realtà che utilizzavano metodologie completamente diverse. Noi, don Picchi che fondò il Ceis, don Mazzi, don Ciotti, don Gallo, la Comunità di Capodarco, anche Saman nella prima fase, Villa Maraini a Roma. Oggi siamo oltre 500», uniti nella convinzione di voler «educare, non punire».
Quegli «sbrindelloni e improvvisatori» sono stati notati anche da Pino Arlacchi che ieri sul “Corriere della sera” («La rivolta civile contro la droga») ricorda: «San Patrignano era parte di un arcipelago molto più vasto, con molte presenze religiose di caratura straordinaria». Conosciamo Arlacchi. Anche ieri ricordava che antidroga e antimafia sono due facce della stessa medaglia, e che la rivolta della società civile fu vincente. Natalia Aspesi avrà preso appunti?
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