Al netto degli incoscienti, dei No-mask e di chi sostiene che il Covid sia stato inventato per imporre un nuovo governo unico mondiale (con tra questi ultimi pure qualche ecclesiastico, che con sprezzo del ridicolo non ha esitato a cavalcare anche quest'ultima stupidaggine pur di dare contro Papa Francesco) è ormai chiaro a tutti che per uscire dalla pandemia ci vorrà tempo e pazienza. Un tempo in cui ciascuno è chiamato a fare diligentemente la propria parte, piccola o grande che sia, senza troppe pretese di inventarsi nulla, consapevoli che dai nostri comportamenti passa la salute degli altri. Papa Francesco lo va ripetendo fin dall'inizio di questa pandemia, ammonendo ed esortando tutti a fare la loro parte. E qualche giorno fa è tornato a farlo, rivolgendosi a un mondo della politica che è chiamato a porsi in prima linea per attuare quella "civiltà dell'amore" che è il suo fine ultimo. «La crisi che stiamo vivendo a causa della pandemia colpisce tutti; possiamo uscirne migliori se cerchiamo tutti insieme il bene comune, al contrario usciremmo peggiori. Purtroppo assistiamo all'emergere di interessi di parte. Per esempio, c'è chi vorrebbe appropriarsi di possibili soluzioni, come nel caso dei vaccini, e poi venderle agli altri. Alcuni approfittano della situazione per fomentare divisioni: per cercare vantaggi economici o politici, generando o aumentando conflitti. Altri semplicemente non si interessano della sofferenza altrui, passano oltre e vanno per la loro strada: sono i devoti di Ponzio Pilato, se ne lavano le mani». C'è tuttavia una risposta cristiana alla pandemia e alle conseguenze sociali ed economiche da essa generata, una risposta che «si basa sull'amore, anzitutto l'amore di Dio che sempre ci precede». Parliamo di un amore che «non si limita alle relazioni fra due o tre persone, o agli amici, o alla famiglia, va oltre, comprende i rapporti civici e politici, incluso il rapporto con la natura: l'amore è inclusivo... Senza questa ispirazione, prevale il contrario, cioè la cultura dell'egoismo, dell'indifferenza, dello scarto, cioè scartare qualcuno a cui non voglio bene, che non posso amare o coloro che a me sembra sono inutili nella società». E dunque oggi, davanti a «un virus che non conosce barriere, frontiere o distinzioni culturali e politiche deve essere affrontato con un amore senza barriere, frontiere o distinzioni… quel che si fa in famiglia, nel quartiere, nel villaggio, nella grande città, internazionalmente è lo stesso seme che cresce e dà frutto: se tu in famiglia incominci con l'invidia e la lotta alla fine sarà la guerra, se cominci con l'amore e il perdono, saranno amore e perdono per tutti. Al contrario, se le soluzioni alla pandemia portano l'impronta dell'egoismo, sia esso di persone, imprese o nazioni, forse possiamo uscire dal coronavirus, ma certamente non dalla crisi umana e sociale che il virus ha evidenziato e accentuato». Il punto è che «la politica spesso non gode di buona fama, e sappiamo il perché... Ma non bisogna rassegnarsi a questa visione negativa, bensì reagire dimostrando con i fatti che è possibile, anzi, doverosa una buona politica, quella che mette al centro la persona umana e il bene comune. Se voi leggete la storia dell'umanità troverete tanti politici santi che sono andati per questa strada. È possibile nella misura in cui ogni cittadino e, in modo particolare, chi assume impegni e incarichi sociali e politici, radica il proprio agire nei principi etici e lo anima con l'amore sociale e politico» e «i cristiani, in modo particolare i fedeli laici, sono chiamati a dare buona testimonianza di questo e possono farlo grazie alla virtù della carità, coltivandone l'intrinseca dimensione sociale». Ognuno, appunto, deve fare la sua parte. Piccola o grande che sia.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: