Ne hanno riferito "Avvenire" ( tinyurl.com/m9yqrpy ) e "tutti" gli altri media, anche sulla scia di un recente e in parte analogo caso verificatosi a Bologna: una ragazza adolescente di Pavia ha denunciato per maltrattamenti i propri familiari, «di origine marocchina», ottenendo per il momento di esserne allontanata. Le violenze, dice la vittima, erano punizioni per il suo orientamento verso uno stile di vita troppo «occidentale»; tra di esse, rientravano «frustate» inferte «con il cavo del computer».
Non vi è dubbio che la giustapposizione, offerta da tutte le cronache, tra i due aggettivi qualificativi, «occidentale» e «marocchina», abbia implicitamente colorato questa notizia dell'elemento religioso. Con qualche ragione, credo; sebbene non disponga di alcun metro per misurare l'effettiva incidenza della fede islamica, nel suo intreccio con la tradizione e la cultura, sui denunciati criteri e metodi educativi di questa famiglia, come di quella bolognese-bengalese che avrebbe rasato i capelli a una figlia restia a portare il velo.
Ma credo anche che l'altro dettaglio sottolineato da tutte le cronache, quello legato al digitale, sia stato in questa notizia molto più potente per descrivere i fatti in termini di "scontro di civiltà". In esso, oltre al simbolo del punire attraverso l'oggetto della colpa, c'è l'accostamento di un gesto antico come il frustare a uno strumento moderno come il pc. La distanza culturale appare enorme: certamente più grande di quella che intercorre tra islam, occidente e Rete, e a maggior ragione tra Rete e islam radicale, come ben sa chi indaga sulle sue modalità di diffusione e proselitismo. Così, chi ricostruirà questa vicenda in chiave di infotainment ha già scritta la scena-madre, ed è una scena dove la religione non ha alcun primo piano: la vittima davanti al monitor, intenta a chattare con le amiche italiane o ad acquistare online un miniabito; il fratello che la sorprende, strappa il cavo di rete e con quello inizia a colpirla. Che sia vero o no.