Che grande piacere è stato per me incontrare un gruppo di studenti in una grande aula dell'università di Roma, la Sapienza. Era una giornata dedicata a discutere d'Europa nelle Università di Torino, di Roma e di Napoli: tre incontri tenuti in contemporanea creando un unico grande dibattito condiviso tra le sale e trasmesso all'esterno in diretta. Mente sedevo dietro il grande tavolo mi venivano in mente gli anni e le ore passate qui nella mia giovinezza ad ascoltare le lezioni, a tenere gli esami e nell'ultimo anno, mentre la guerra aveva distrutto paesi e città d'Europa e del mondo, a correre veloce tra questi banchi gettando foglietti di propaganda per la pace e la democrazia. Fuggivo poi in bicicletta per non incontrare la polizia nazista che occupava ancora la nostra città. Ma oggi si doveva parlare non solo di pace, ma di quella costruzione di una unità di impegno che pare abbia perduto l'iniziale volontà comune. Allora come riprendere il coraggio, la volontà, il respiro alto dei primi anni quando ogni piccolo passo condiviso era una vittoria? Raccontare quel tempo era come aprire le finestre su un orizzonte lontano, ma non perduto, ancora valido per il coraggio del primo cammino per le forti rinunce nazionali per acquistare una libertà ed una coscienza più vasta, una pace più sicura. Le guerre infinite che la nostra Europa aveva scatenato sul proprio territorio nei secoli passati, incominciando dalle spade fino alle stragi compiute dalle forze aeree dell'ultimo conflitto non avevano più ragione di essere di fronte alla volontà di tre uomini, un italiano, un francese, un tedesco, De Gasperi, Schuman, Adenauer che avevano come compito di raccogliere le spoglie di tanto dolore per non combattersi più. È per questa volontà di unione che noi, i primi giovani della pace condivisa, della volontà di un futuro comune ci siamo dati la mano e abbiamo cantato in lingue diverse, ma assieme. Ora è tempo di riprendere le volontà dell'inizio, di indossare di nuovo le scarpe grosse e andare avanti anche se c'è della roccia o del fango. Dare libertà alla fantasia per strade nuove, ma anche riprendere quella via lasciata cadere negli anni '50 quando De Gasperi alzata la voce a Strasburgo chiedendo quale strada era bene scegliere per mantenere ciò che vi era di umano e nobile nelle forze nazionali coordinandole verso uno scopo di civiltà sopranazionale: «Se noi non costruiremo che delle amministrazioni comuni senza che vi sia una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale, noi rischiamo che questa attività europea compaia, a confronto delle vitalità nazionali, senza colore, senza vita ideale. Potrebbe ad un certo momento apparire una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva». Come vorrei oggi essere capace di trasferire nel vostro animo giovane l'entusiasmo, la volontà, il piacere di questo compito antico e nuovo da portare a termine.
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