Tutte le vite rientrano nell'immagine quotidiana, quasi banale, del pane che viene diviso e suddiviso. Perché le vite sono cose seminate, cresciute, maturate, mietute, triturate, impastate: sono come il pane. Perché non soltanto noi assaporiamo e consumiamo il mondo: dentro di noi andiamo rendendoci conto che anche il mondo, il tempo, ci consuma, ci frantuma, ci divora. Per buone e per cattive ragioni, nessuno rimane intero. Siamo un impasto che si strappa, una mollica che si sbriciola, uno spessore che si riduce, un cibo che viene distribuito. La questione è sapere con quale coscienza, con quale senso, con quale intensità viviamo questo processo inevitabile. Tutti ci consumiamo, certo. Ma in quali commerci? Tutti avvertiamo che la vita si divide e suddivide. Ma come rendere questo fatto di per sé tragico in una forma di affermazione feconda e piena della vita stessa?
Per noi cristiani, l'Eucaristia è il luogo vitale della decisione su che fare della nostra vita. Perché tutte le vite sono pane, ma non tutte sono "eucaristizzate", ossia configurate in Cristo e assunte, alla sua sequela, come consegna radicale di sé, offerta, dono vivo, servizio d'amore incondizionato. Tutte le vite giungono a conclusione, ma non tutte arrivano alla conclusione del parto di questa condizione cristica che portano inscritte dentro di sé. È di queste cose che l'Eucaristia giornalmente ci parla quando ci ricorda: «Fate questo in memoria di me».
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