Da cosa dipende la percezione comune che i tempi stiano accelerando? Parlo della distonia tra la scansione delle ore, dei giorni e delle settimane oggettiva, e per necessità immutabile, di fronte a un sentire individuale sempre più diffuso e pressante di come queste, nella nuda esperienza, durino invece “di meno”. Abbiamo tutti sentito espressioni come “un giorno sembra duri la metà di qualche anno fa” o “i mesi passano senza che nemmeno ce ne accorgiamo”. La questione non è nuova. Ne accenna Leopardi nel suo Zibaldone, ma in riferimento alla percezione del tempo nel bambino e nell'uomo adulto. Ora il fenomeno viene avvertito anche dai più giovani. Come se la nostra civiltà, negli ultimi decenni, si percepisse in mutazione valutabile, in termini di tempo, in crescita esponenziale, e sempre più, sotto molteplici aspetti, insostenibili, quasi fossimo tutti costretti su un tapis roulant che a furia di accelerare non riusciamo più a seguire, e forse, mantenendo la metafora, siamo caduti e ci lasciamo trasportare verso, non vista, un'incognita che “mangia” il futuro e abbrevia il presente. La Fede ci concede di “fermare questo mondo” e non di scenderne, ma di dettarci attraverso la liturgia un'alternativa di verticalità interiore e comunitaria, ricucendo eterno e quotidiano. Non a caso, “Il libro delle ore” si chiama così.
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