Più che l'Ottocento, il cui idealismo ha avuto come correttivo il romanzo realistico, è stato il Novecento il secolo degli stili dell'estremismo: degli stili d'avanguardia, rivoluzionari, nonché enfatici. Lo stile enfatico di Nietzsche, analizzato e denunciato da Borges, non è ancora niente rispetto a quello di Heidegger, la cui enfasi estremizzante colloca l'autenticità nella più indeterminata e impensabile delle categorie, quella di Essere. Per incamminarsi verso l'Essere, bisognava avere la schiettezza e il coraggio di dichiararsi teologi e accedere alla tradizione religiosa.
Ma nel Novecento, di estremismi variamente enfatici ce ne sono stati molti. Sia enfatici per dilatazione che per riduzione. Non è piuttosto enfatica la superconcentrata poesia di Ungaretti? Attivisticamente enfatico, se non facinoroso, è il Futurismo. Sensualmente enfatico è D'Annunzio. Politicamente enfatico è il Fascismo. Enfaticamente estremistico è stato un certo marxismo degli anni Sessanta, che deduceva la prassi rivoluzionaria dalla teoria. Umberto Saba fu geniale quando scrisse che il Novecento ha avuto un solo desiderio: arrivare al più presto al Duemila.
Ma nel Duemila questa mania novecentesca è precipitata nei laboratori della pubblicità, nel cui linguaggio niente riesce a essere quello che è, tutto va superato. Sfoglio i giornali e non trovo che slogan estremisti: «Abbronzati tutto l'anno», «The best or nothing», «Perché ci piace essere avanti», «Essere ovunque aiuta il business», «Sempre qualcosa in più», e infine «Molto più che una birra» (detto di una birra), «Molto più che una spiaggia» (detto di una spiaggia). Inoltre tutto deve essere «esclusivo». Il massimo della soddisfazione è escludere qualcuno, gli altri, tutti, possibilmente.
L'immaginario pubblicitario deve pur convivere con la democrazia. Solo che abolisce l'umiltà e la mentalità democratica. Per la pubblicità, tutti uguali significa tutti membri privilegiati di club esclusivi.
© Riproduzione riservata