Ci sono libri che si preferirebbe non aver letto, perché incidono sulla coscienza così incline al quieto vivere. Uno di questi libri è la raccolta delle Lettere di Yonathan Netanyahu, pubblicata da quell'editore eye-opener che è Liberilibri (Macerata 2016, pagine 216, euro 16,00).Yonathan Netanyahu, per chi non lo ricordasse, era il fratello maggiore di Benjamin, attuale primo ministro di Israele, e di Iddo, scienziato e commediografo. Yonathan (Yoni) ufficiale comandante di Sayeret Matka, unità di élite dell'esercito israeliano, cadde mentre era alla testa del blitz di Entebbe, 3-4 luglio 1976, per liberare oltre cento ostaggi ebrei e israeliani. Aveva trent'anni.La prima lettera di Yoni è del 28 marzo 1963: diciassettenne, scrive dagli Stati Uniti, dove sta studiando (suo padre, Benzion, era direttore dell'Encyclopedia Judaica). È stupefatto dalla mediocrità dei compagni americani: «Le uniche cose di cui le persone parlano qui sono le auto e le ragazze. Un po' alla volta mi sto convincendo di vivere in mezzo a scimmie e non tra esseri umani». Brillantissimo negli studi, decide di rientrare a Gerusalemme per continuare l'università ebraica e iniziare la carriera militare nei paracadutisti, come faranno anche i suoi due fratelli minori. Combatterà nella Guerra dei sei giorni e in quella dello Yom Kippur, ferito e decorato, fino all'eroica conclusione di Entebbe.Leggere quelle lettere, indirizzate ai genitori, ai fratelli, alla ragazza che diventerà sua moglie e dalla quale divorzierà dopo quattro anni, pur senza rompere i rapporti, fa capire almeno un po' che cosa rappresenta davvero Israele per gli ebrei e la forza dei loro legami famigliari. Israele è circondato da Paesi che vogliono annientarlo. È in stato di guerra permanente e deve vincere per non essere cancellato dalla geografia. Yoni confida al padre il 28 gennaio 1973: «Voglio davvero la pace; non voglio vivere per la spada: una vita per uccidere e per tentare di non essere ucciso». In precedenza aveva scritto: «Non c'è nessun esercito come il nostro! Nessuno! È un esercito che vuole soltanto la pace e non cerca la guerra, eppure quando bisogna combattere, non c'è forza che possa fermarlo».E la solidarietà internazionale? 18 settembre 1969: «Non siamo altro che una goccia in un oceano di guerre e calamità. In questo momento un intero popolo viene distrutto in Biafra, e nessuno dice una parola di protesta. E se qualcuno lo fa, nessuno alza un dito». Eppure c'è quel documento dell'Onu denominato “Responsabilità di proteggere”, richiamato anche dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin nel discorso all'Assemblea dell'Onu il 29 settembre 2014: occorre promuovere una cultura della pace e della trattativa diplomatica, tuttavia «è sia lecito sia urgente arrestare l'aggressione attraverso l'azione multilaterale e un uso proporzionato della forza».Il libro è tradotto e presentato da Michele Silenzi, trentenne economista e scrittore. Giustamente Silenzi evidenzia che la ragion d'essere percepita da ebrei e israeliani è il sentimento identitario valoriale, irrintracciabile nell'Europa di oggi, rassegnata al proprio declino alimentato da una buonista autocommiserazione. E cita Benedetto XVI che nella Caritas in veritate ha scritto: «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo».Yoni è un eroe nazionale e un testimone esemplare. Nel discorso in memoria del tenente colonnello Yonathan Netanyahu, il 6 luglio 1976, il ministro della Difesa, Shimon Peres, evocò il compianto di Davide per la morte di Gionata: «La distanza nello spazio tra Entebbe e Gerusalemme, all'improvviso, ha accorciato la distanza nel tempo tra Yonathan figlio di Saul e Yonathan figlio di Benzion. Lo stesso eroismo nell'uomo. Lo stesso lamento nel cuore del popolo».
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