È stata solo una metafora: me lo ha confermato il collega Giovanni Panettiere, che, insieme a qualche altro, se ne è servito nel suo resoconto per il “Quotidiano.net” ( tinyurl.com/y95tdnsc ). L'hanno suggerita le agenzie: e provo a immaginare come avranno ragionato. Vero è che in nessun passaggio della Placuit Deo, la nuova lettera della Congregazione per la dottrina della fede su alcuni aspetti della salvezza cristiana, e in nessun momento della conferenza stampa tenuta giovedì 1 marzo dal prefetto Luis Francisco Ladaria Ferrer e dal segretario Giacomo Morandi per presentarla, si fa riferimento esplicito al fatto che internet rappresenti un brodo di coltura particolarmente favorevole al proliferare dei due «riduzionismi» contemporanei sui quali il documento attira l'attenzione. E tuttavia sarà sembrato arduo, se non impossibile, fare un titolo o aprire un pezzo sulla Placuit Deo con termini come «neopelagianesimo» e «neognosticismo», anche se papa Francesco li ha già usati e non in un'occasione qualunque, ma rivolgendosi alla Chiesa italiana in occasione del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (2015). E allora ecco l'idea di attingere dalla Rete un'immagine sintetica ma efficace: se si tratta di «recenti trasformazioni culturali» che «offuscano la confessione di fede cristiana», e che «assomigliano, in alcuni aspetti, a due antiche eresie», come ha detto il prefetto, allora possiamo chiamarle le «eresie 2.0». Del resto, leggo alcune espressioni utilizzate da Pierangelo Sequeri per commentare qui su “Avvenire” la Placuit Deo ( tinyurl.com/y8zwfb7s ), e una qualche nota digitale la scorgo: da un lato l'uomo che progetta di salvarsi da solo è figlio anche del progresso tecnico, e dall'altro si lascia illudere anche dalle prestazioni dell'intelligenza artificiale e dalle possibilità della realtà virtuale. Se una metafora funziona, deve esserci un perché...
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