Sulla riva della Dnepr, nel fango melmoso della neve che si scioglie, c'è un carro armato russo, centrato in pieno da una bomba. Sventrato: i carristi ne sono stati proiettati fuori e giacciono morti a terra. In un video che gira sul web un gruppo di soldati ucraini avanza a piedi verso il carro nemico. Parlano a voce alta, sono eccitati, si indicano i rottami, li prendono in mano, ridono. “Suka!”, continuano a ripetersi l'un l'altro festosi. I passi si avvicinano al carro sfasciato, “Suka!”, “Suka!”, esultano i ragazzi. Cagna, puttana vuole dire quella parola, parola di rabbia e di esultanza feroce. L'invasore non è invincibile, il nemico questa volta è morto. E nessuna pietà per quei corpi, già induriti dal rigor mortis. Erano ventenni russi delle regioni più lontane, mandati a un fronte che non conoscevano nemmeno. «Non sapevamo di dovere attaccare l'Ucraina», ha detto uno di loro, catturato. Appena sotto il casco ne vedi la faccia di ragazzo di vent'anni, quasi imberbe. Mio Dio, pensi a sua madre, a una ragazza che forse gli vuol bene.
E invece questi altri, pure così simili a lui, che esultano della morte dei nemici. Erano ragazzi che avrebbero potuto incontrarsi in uno stadio, e bere birra assieme, aspettando la partita. Erano soltanto ragazzi.
La guerra è un ordine: odiatevi. E in quell'ordine la faccia degli uomini trasfigura.
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