Il piccolo Nenad, dieci anni, è il “serbo”, quando vive tra gli albanesi del Kosovo, chiuso in una enclave organizzata per difendere l'identità etnicoreligiosa della sua comunità – sono ortodossi –, circondata da musulmani. Il piccolo Nenad diventa l'“albanese” quando sarà costretto con il papà a trasferirsi a Belgrado. Enclave del regista serbo Goran Radovanovic, vincitore del Bergamo Film Meeting 2016, ha quel bambino come protagonista, simbolo di molti bambini che divisioni storiche, investite dal fanatismo trasformato in odio, hanno fatto diventare vittime di un mondo che loro non appartiene. A Vrelo, villaggio albanese nel Kosovo postbellico, la normalità è solo apparente: la famiglia di Nenad celebra il funerale del nonno, quella di Bashkim chiama l'imam per celebrare le nozze d'uno di loro. Sono due riti religiosi che non rendono lo spirito capace di pregare e perdonare, gli adulti rimangono ostili l'un l'altro. Ancora una volta il cinema accoglie lo sguardo dei piccoli e anche questa volta, complice una campana cristiana, qualcosa di bello, anche se fatuo, sboccerà da loro, facendo cadere l'inimicizia. «L'odio ancora permane – confessa il regista –, la paura è l'assenza dell'amore. Ma Nenad e Bashkim sono capaci di cercare un amico nella comunità avversa, e di perdonare». Girato con grazia, un film coinvolgente, che evita, per fortuna, la lacrima facile. (L. Pell.)
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