Dipendesse da me saprei bene che cosa fare. Denuncerei l'orrendo sfruttatore, farei in modo di incontrarlo, di guardarlo dritto negli occhi. Che la smettesse di sentirsi l'impunito che è.
Lo dico a quella ragazza che ho così cara, arrivata qui come tante in cerca di pane da un posto del mondo così lontano, e che sta subendo un sopruso da un ridicolo e vigliacco encantador de chicas.
Lui ha fatto il danno ed è sparito. Toccherà a lei pagare. Ogni mese, di qui all'eternità, un quinto trattenuto sul suo povero stipendio.
Sono furiosa. Lei si schermisce. Come se dovesse difendersi da me e non da lui.
Quante ce ne sono tra noi di queste donne, venute qui a spaccarsi la schiena, pronte a scattare e a vuotarsi le tasche agli ordini di uomini che passano le loro inutili giornate in qualche bar, litri di cerveza, salsa, marimba e ragazze da sedurre e abbandonare.
Le dico: "Dovresti fare così. E poi così". Lei abbassa gli occhi, in attesa che la buriana passi.
Non farà niente di ciò che le consiglio. Quella violenza l'ha già accettata come un destino. Devo sbatterci il muso per capire che la libertà non si insegna - come per la democrazia, che non si esporta -. È libertà anche che lei decida come e quando essere libera, nei suoi modi e nei suoi tempi.
Abbasso gli occhi anch'io e le prendo una mano.
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