Giunge finalmente in italiano, nella limpida traduzione di Andrea Vannicelli, la raccolta di saggi che Édouard Berth pubblicò nel 1914 con il titolo I crimini degli intellettuali (Gog Edizioni, Roma 2018, pp. 254, euro 16,00). Discepolo di Georges Sorel (1847-1922), Édouard Berth (1875-1939) si professava sindacalista rivoluzionario e tentò una non facile conciliazione tra le teorie di Marx e quelle dell'anarchico Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865). Bersaglio preferito di Berth erano gli intellettuali che, con Sorel, «non sono, come si sente dire, gli uomini che pensano: sono coloro che fanno professione di pensiero e che prelevano un salario aristocratico in ragione della nobiltà di questa professione». Secondo Berth, la triade contro cui il proletariato deve lottare è composta da Stato, Concetto e Mercato, e quindi Politici, Intellettuali e Mercanti, con una sorta di mistica dello sciopero che oggi appare singolarmente datata. Con Chesterton, applicò “l'esaltazione dei contrari” anche al cristianesimo, di cui apprezzò gli apporti di civiltà: «Il cristianesimo realizza un equilibrio miracoloso tra la natura divina e la natura umana; Gesù racchiude in sé queste due nature in un'unione perfetta, che non permette nessuna degradazione dell'una o dell'altra natura, nessuna diminuzione di entrambe. Il legame dell'umano e del divino in Cristo esalta alla massima potenza, alla massima purezza e alla massima grandezza gli elementi antagonisti che lo compongono». Molto originale, anche se di derivazione da Bergson, la “vittoria di Pascal su Cartesio” proclamata da Berth: «Cartesio battuto significa il razionalismo battuto, e per razionalismo bisogna intendere esattamente quel razionalismo astratto o, per meglio dire, quell'intellettualismo moderno estraneo alla vera scienza e sovversivo nei confronti della ragione tout court che è stato inventato appositamente per demolire le credenze cristiane e sostituire alla religione una concezione cosiddetta scientifica del mondo, che è la cosa più babbea e più piatta che sia mai stata inventata nel corso dei secoli». Nell'ampia e illuminante Introduzione, Lorenzo Vitelli attualizza l'anti-intellettualismo di Berth rileggendolo nei populismi non solo italiani: «Sostituendo al clivage destra/sinistra la dialettica élite/masse, il populismo è anti-intellettualista perché si manifesta come una politicizzazione del buon senso in tutti i campi del sapere e dell'agire. Il buon senso è l'arma che il populista consiglia al popolo di agitare contro la sofisticazione degli intellettuali, dei politicanti di professione, dei mercati finanziari». Ma nel panorama odierno in cui la cultura di massa coinvolge sempre meno la cultura e sempre più l'intrattenimento, «squalificare il ruolo dell'intellettuale vuol dire lasciare il monopolio del dibattito – politico, etico, progettuale – ai protagonisti dell'intrattenimento e dello showbiz».
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