La scarsità di materie prime e la crescente ostilità nei confronti di discariche e termovalorizzatori, che rappresentano due notevoli handicap per il nostro Paese, possono generare anche conseguenze positive? Evidentemente sì, a giudicare dal boom che sta conoscendo l'economia circolare. È in atto infatti negli ultimi anni in Italia una "spinta naturale" verso questa forma innovativa di economia, che sta generando le condizioni per far decollare un sistema industriale del riciclo che rappresenta già oggi un'eccellenza continentale.
Stime attendibili prevedono che entro il 2030 quasi 4,5 trilioni di dollari nel mondo verranno prodotti da attività riconducibili all'economia circolare. Un'opportunità da cogliere, partendo da un "allarme rosso" globale: secondo il primo Rapporto sull'economia circolare, presentato lo scorso anno al World Economic Forum di Davos, dal 1900 al 2015 a fronte di un aumento della popolazione mondiale di 4,5 volte, lo sfruttamento di risorse naturali è aumentato di ben 12 volte. In presenza di un tasso di riciclo a livello planetario pari soltanto al 9%, si tratta di uno squilibrio insostenibile che impone il passaggio da un'economia lineare ad una circolare.
Questo nuovo modello economico non è solo un nuovo terreno di business. È un paradigma di produzione e consumo che ha dietro di sé un approccio culturale basato su condivisione, riutilizzo, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti. L'obiettivo è quello di estendere il più possibile il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo.
Il recepimento della direttiva UE sull'economia circolare – a cui tutti gli Stati membri devono adeguarsi entro luglio 2020 – sarà uno strumento di cambiamento fondamentale in questa direzione. Ma al di là dei vincoli normativi, sarebbe prezioso sviluppare una visione più sostenibile della produzione e del consumo. Potremmo immaginare un'Europa nella quale i prodotti che non servono più non sono rifiuti di cui sbarazzarsi, ma vengono ceduti a strutture organizzate di "logistica di ritorno" e ad imprese che li trattano per consentirne il riutilizzo? Un'Europa capace per questa via di creare nuova occupazione e di garantire una qualità dell'ambiente decisamente superiore a quello di oggi? È un futuro possibile e neanche così' lontano.
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