Federico Caffè, il noto economista scomparso nel nulla nel 1987, lamentava che «al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l'assillo dei riequilibri contabili». Erano gli anni in cui l'economia stava soppiantando la politica, un processo che avrebbe attraversato gli anni dagli Ottanta al Duemila, un processo tutt'altro che indolore, per gli uomini e le società, come tutti i giorni possiamo constatare. Dove, come temeva Caffè, la logica spietata dei numeri, l'esigenza assoluta di fare quadrare i conti a ogni costo prevale, appunto, sulla compassione per le condizioni reali delle persone. Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI fino a Francesco, i Papi sempre hanno denunciato innumerevoli volte questa deriva disumana, che sacrifica la concretezza dell'uomo ai principi astratti di regole che, pur necessarie, non possono prevalere sull'umanità. Basta leggere le encicliche sociali di Wojtyla, di Ratzinger e di Bergoglio, o riprendere in mano i loro discorsi ai mondi della politica e della economia, per rendersi conto di quanto pressante, per la Chiesa, sia questo problema. E se molti pensano e vogliono far credere che tali appelli insistiti siano solo facili parole che non tengono, appunto, conto delle reali esigenze dell'economia, retorica insomma, Francesco qualche giorno fa, nel suo messaggio ai partecipanti al Forum di "European House-Ambrosetti", ha dato una prova ulteriore che non è così. Perché, ha scritto, «si tratta di vivere una conversione ecologica per poter rallentare un ritmo disumano di consumo e di produzione, per imparare a comprendere e a contemplare la natura, a riconnetterci con il nostro ambiente reale», puntando a una «riconversione ecologica della nostra economia, senza cedere all'accelerazione del tempo, dei processi umani e tecnologici, ma tornando a relazioni vissute e non consumate». E per questo, ha aggiunto, «siamo chiamati a essere creativi, come gli artigiani, forgiando percorsi nuovi e originali per il bene comune». Per questa conversione e questa creatività è indispensabile «formare e sostenere le nuove generazioni di economisti e imprenditori», spiegando una volta di più perché la sua iniziativa di invitare in novembre i giovani economisti «nella Assisi del giovane Francesco che, spogliatosi di tutto per scegliere Dio come stella polare della sua vita, si è fatto povero con i poveri e fratello universale. Dalla sua scelta di povertà scaturì anche una visione dell'economia che resta attualissima». Per questo, per Bergoglio, è «importante investire sulle nuove generazioni protagoniste dell'economia di domani, formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità, della cultura dell'incontro». Può sembrare paradossale rifarsi a san Francesco, morto ottocento anni fa, e indicarlo come modello paradigmatico per l'economia del ventunesimo secolo. Ma il fatto è che proprio l'emergenza innescata quest'anno dalla pandemia ha messo alle corde un modello ormai incapace di soddisfare le vere esigenze dell'uomo, e chiama allo sforzo creativo «della solidarietà, l'unico antidoto contro il virus dell'egoismo, ben più potente del Covid-19. Se allora si prospettava una solidarietà nella produzione, oggi questa solidarietà va estesa al bene più prezioso: la persona umana». Una solidarietà che «va messa al posto che le spetta, cioè al centro dell'educazione, della sanità, delle politiche sociali ed economiche. Essa va accolta, protetta, accompagnata e integrata quando, in cerca di un futuro di speranza, bussa alle nostre porte». Questo è tutto fuorché retorica.
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