È tardi, il ristorante è rimasto quasi vuoto. Solo a due tavoli ci sono ancora avventori: noi, e tre coppie sui trent’anni. Brindano, paiono festeggiare qualcosa. Fino a ora le donne, sedute vicine, discorrevano fitto fra loro. Ora che nel locale è finito il vocìo dei clienti, le parole dal tavolo accanto si sentono bene. C’è un bambino in arrivo, un bambino che si è annunciato da poco. E quando nascerà, e sarà maschio o femmina, e poi, che nome dargli: e su questo, i sei si sbizzarriscono, e sorridono, e ridono alle proposte più improbabili. Lieti, gli amici, e per una sera dimentichi di ogni problema e ogni orizzonte che prema da fuori su questo piovoso maggio milanese: in cui pure i gelsomini appena fuori dal ristorante sono fioriti, e promettono primavera.
Devono essere molto intime le tre coppie, per condividere una sera come questa. A un certo punto una delle donne apre lo smartphone, cerca qualcosa, lo mostra all’amico che le sta davanti con l’aria di chi metta a parte di un segreto geloso. Lo smartphone s’illumina nella penombra del locale di una luce azzurrina, e al tavolo si fa di colpo silenzio. Naturalmente io non vedo lo schermo, ma avverto quello zittire repentino delle voci: e poi, da due degli amici, un “oddio!”, come davanti a qualcosa di stupefacente.
Conosco quello stupore: lo abbiamo provato noi, e già anche un figlio con la moglie. È il baluginare di una prima ecografia: quando su un monitor si disegna una forma di due centimetri forse, che pure ha già piccolissime mani, e un percepibile battito del cuore. Lo smartphone passa tra i commensali, tenuto quasi con devozione, con la punta delle dita. Doveva essere un bambino molto atteso: i genitori sono visibilmente alle stelle. E anche gli amici sembrano affascinati da quel chiarore tremante, così vicino eppure così lontano, come un’immagine da un altro mondo (la prima volta che ho visto un’ecografia di mio figlio mi erano tornati in mente i fotogrammi confusi, come tremanti, dell’arrivo dell’uomo sulla Luna, in tv, davanti ai miei occhi stupefatti di bambina). Foto da un altro mondo, anche queste, e non meno sbalorditive perché quel mondo è nel ventre di una donna. Il mistero del formarsi di un figlio è un’evidenza che zittisce per qualche istante l’allegria dei commensali (l’etimologia greca della parola “mistero” viene da una radice che significa “chiudo”, “chiudo le labbra”: la parola che manca davanti a ciò che è ignoto).
E poi di nuovo un prorompere di esclamazioni liete, “guarda le mani!”, “guarda, già si muove”...
Noi ce ne andiamo, e i sei ancora incantati davanti a un’ecografia. Commossa anch’io, di quella loro gioia. Tuttavia, non posso non farmi ancora una volta una domanda. Quel figlio è non più che al terzo mese, e molti come lui domattina negli ospedali verranno eliminati, legalmente. È un “diritto”, di cui nemmeno è lecito pensare di discutere. Un dogma. E allora perché ci si zittisce davanti a quei monitor, perché, quando un figlio lo si desidera, si guardano con sbalordimento quelle mani piccolissime? Le stesse immagini sono un uomo, oppure un niente: non è assurdo?
Eppure, guai a farlo solo notare. Ce ne stiamo sdraiati su una bugia maggioritaria e democratica, attenti a non riconoscere ciò che pure agli occhi è evidente.