Pasta fresca tutta italiana per risollevare le sorti di un settore " quello agroalimentare in generale " che continua a dibattersi fra prezzi al consumo troppo alti e disaffezioni della domanda, ma che all'estero corre e dà del filo da torcere alla concorrenza. Non si tratta solamente di una trovata promozionale, ma di una precisa strategia di produzione e di comunicazione che prende le mosse dalla ricerca dell'origine degli alimenti e della sicurezza sulla loro qualità. Una mossa che potrebbe funzionare, se estesa anche ad altri prodotti, ma che non deve fare dimenticare le altre necessità del settore.
La pasta cento per cento italiana è nata da un'idea di Coldiretti e Cna ed è costata un lavoro lungo due anni per mettere insieme tutti i pezzi della filiera. Per la produzione di pasta fresca, infatti, si fa generalmente ricorso a miscele di semola di grano duro e di farina di grano tenero che i molini producono utilizzando principalmente granella estera. Una questione di materie prime, quindi, che si accentua per i prodotti agroalimentari «freschi» e ottenuti da piccole aziende. Mettendo invece in collegamento agricoltori con molini e trasformatori, le due associazioni sono riuscite nell'intento di offrire al mercato quello che prima non c'era. Il problema sarà adesso estendere questo metodo ad altri comparti. Tenendo anche conto che, sempre secondo una indagine Coldiretti, sembra che acquistare prodotti locali e di stagione, facendo attenzione anche agli imballaggi, consenta un risparmio del 20% sulla spesa. Una modalità di spesa che pare piaccia agli italiani, ma che sicuramente si scontra con i meccanismi della Grande distribuzione organizzata (Gdo) e dei cambiamento delle abitudini alimentari. Anche se proprio dalla Gdo potrebbe arrivare un aiuto visto che esiste addirittura una legge che favorisce la presenza nei supermercati di prodotti agricoli regionali. La disposizione stabilisce, infatti,
che nelle grandi strutture di vendita e nei centri commerciali siano posti in vendita prodotti provenienti dalle aziende agricole ubicate nel territorio «in una congrua percentuale» con accordi locali.
Tutto bene, quindi, o quasi. Visto che comunque l'agroalimentare italiano deve fare i conti con i mercati esteri e con la necessità di esportare sempre di più. Un obiettivo raggiungibilissimo visto che già nel 2007 abbiamo raggiunto quota 24 miliardi con crescite importanti anche in mercati difficili come il Nordamerica, dove la debolezza del dollaro non ha certo favorito le vendite italiane. Il problema è continuare così. Cercare di valorizzare i prodotti locali ma intanto promuovere il grande Made in Italy in giro per il mondo, produrre con le proprie materie prime ma non dimenticare che l'agricoltura, da tempo, è pienamente inserita in un sistema di relazioni che travalica i confini nazionali e in molti casi continentali. In tempi di sfide di ogni genere, questa certamente è una delle principali.
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