Un giovane fotografo, Andrea Angione, mi ha proposto di posare per uno scatto in una sua personale ricerca iniziata ricostruendo dipinti come set fotografici: la luce, i corpi, la composizione. È Caravaggio a dipingere la luce per dar corpo alle cose e animare i soggetti, a comporre uno sguardo che prefigura la fotografia. Quattrocento anni dopo, anneganti in un flusso di immagini, tra la pretesa di mappare la realtà in diretta e l'incubo di reinventarla a uso e consumo si perde il senso del vivere e dell'arte. Ne resta necessità, tanto bisogno etico che estetico. La mancanza incentiva la ricerca ma è il kitsch a permeare il secolo breve e il post, dalle avanguardie alle derive pop: presunzione, banalità, cattivo gusto confluenti in un sentimentalismo emotivo e moralista. Una palude che costringe al piattume, risucchiando in basso.«Ciò che è stato provato e sperimentato è destinato a ricomparire nel kitsch» sentenzia il critico: non mi spaventa. Non mi spaventa vivere. Ci siamo misurati con Caravaggio: "la caduta" e "la conversione" di Saulo, per la pregnanza delle parole e la presenza determinante del cavallo. Scrivo l'ultima rubrica con davanti la prima prova stampa, è il manifesto dei giorni a venire. Ora et labora, lege; non è il passato, è il futuro. Buona Pasqua.
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