In questi giorni in cui siamo reclusi, e su Milano spesso grava un cielo opaco, quando arriva il sole mi piace, portando all'aiuola il cane, alzare gli occhi ai balconi. Per tutto l'inverno i balconi di Milano sono depositi di stendipanni, scope, scale. Poi, a fine marzo, un giorno spalanchiamo le finestre, e sentiamo odore di aria nuova. Allora in molti, e soprattutto le donne, avvertono addosso un desiderio, ogni anno uguale: e vanno nei vivai a comprare edere e gelsomini, e dai mercati rionali le signore tornano con la spesa e in un sacchetto, come rubato o clandestino, un geranio rosa. In questo aprile doloroso i vivai sono chiusi, e vietati i mercati all'aperto. E tuttavia mi accorgo, se appena il mattino è azzurro, di un discreto lavorio sui nostri smilzi balconi metropolitani. Sparite scale e scope, i condomini rimuovono dalle ringhiere il fumo grasso dell'inverno, lavano i pavimenti, lucidano i vetri. Poi li vedi darsi da fare con sacchi di terriccio e di concime, a colmare i vasi delle sparute piantine sopravvissute al freddo. Chi pota i rami secchi di un pergolato, chi toglie i gerani da minime serre di plastica e li espone, striminziti in verità, al primo tepore. Qualcuno addirittura si entusiasma e apre la tenda da sole, peraltro prematuramente. Ho visto, dietro al supermercato, un'adolescente in canottiera che sul balcone cercava addirittura di abbronzarsi la schiena candida. Altri poi, non so come, sono riusciti a procurarsi delle viole, come il signore del numero 4 della via, quello del piano terra. Ogni volta alzo gli occhi, invidiosa: ma dove le avrà trovate, con i negozi chiusi? Appena tutto riapre, mi riprometto, voglio sei viole come queste. La strana febbre pulsa nelle vene, anche in questa desolazione milanese. Perché più forte di ogni razionalità è la primavera nel sangue, ad aprile.
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