Per trent'anni, dal 1962 al 1992, l'elezione del Presidente della Repubblica ha seguito nei fatti il criterio dell'alternanza tra cattolici e laici, tra democristiani e non democristiani, per essere più precisi. Segni-Saragat-Leone-Pertini-Cossiga: questa la sequenza registrata negli annali. Nella fase attuale, quella relativa alle votazioni presidenziali di cui ormai siamo alla vigilia, è stata avanzata l'idea di un altro tipo di alternanza: secondo i suoi sostenitori sarebbe giunto il momento di un Presidente di centrodestra dopo una presunta egemonia di centrosinistra. È sempre molto delicata e complessa la questione dell'identità politica di coloro che sono diventati Capi dello Stato. Lo è dal punto di vista istituzionale perché una volta eletti essi devono «spogliarsi di ogni precedente appartenenza», per usare le limpide parole di Sergio Mattarella che ricordavamo già nella rubrica di due settimane fa. Eppure i percorsi personali sono tutt'altro che irrilevanti in un'elezione in cui non sono previste candidature formali né, di conseguenza, discorsi programmatici. Si vota quindi una persona per quella che è, per il portato delle sue esperienze, per la sua attitudine a rappresentare l'unità nazionale. Non uno schieramento.
È una questione complessa e delicata anche dal punto vista storico. Dal dopoguerra a oggi la geografia politica del Paese è profondamente cambiata e sono cambiati i significati che si attribuiscono ai termini del lessico politico. C'è il rischio di confondere le etichette. Tra gli anni 50 e 60 del Novecento il problema del centrosinistra ruotava intorno all'ingresso del Psi nel governo: altri tempi. Le categorie di centrodestra e centrosinistra come le utilizziamo ora nascono più o meno dopo la caduta del muro di Berlino, con l'ingresso del principio maggioritario nel sistema elettorale, lo scioglimento del Pci, la fine della Dc e la discesa in campo di Berlusconi. Ma dai primi anni 90 i mutamenti sono stati ancora di grande rilevanza, con una brusca accelerazione nelle ultime due legislature che hanno visto l'irruzione sulla scena delle forze populiste e sovraniste.
Pur con tutte queste avvertenze e scontando i limiti di un'inevitabile semplificazione, uno sguardo sintetico sui Presidenti mostra una notevole varietà di matrici politico-culturali. Enrico De Nicola era un liberal-giolittiano monarchico, Luigi Einaudi un liberale, Saragat un socialdemocratico, Pertini un socialista. Tra i democristiani, Giovanni Gronchi lo si sarebbe potuto collocare sul centrosinistra, ma Antonio Segni e Giovanni Leone proprio no. Difficile incasellare Francesco Cossiga, provenienza sinistra dc ma poi amatissimo a destra. Oscar Luigi Scalfaro è stato convintamente anti-berlusconiano, ma certo non uomo di sinistra, anzi. Con Carlo Azeglio Ciampi arriviamo al primo Presidente mai stato parlamentare, ma non è improprio richiamare l'imprinting della militanza giovanile nel Partito d'Azione. Giorgio Napolitano, in Parlamento con i Ds, è stato il primo Capo dello Stato proveniente dall'esperienza del Pci. Nella varietà di queste matrici c'è però un filo che finora ha unito tutti i Presidenti, compreso quello in carica, ed è il legame con le culture politiche che hanno contribuito a scrivere la Carta costituzionale. La storia va avanti e non bisogna aver paura del nuovo, ma quella radice contiene valori da cui la Repubblica non può prescindere.
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