La storiografia corrente, influenzata dalle tesi di Michele Amari (1806-1889), grande arabista, ma positivista e laicista, mazziniano e garibaldino, ministro dell'istruzione nel governo Farini, tende a considerare la conquista normanna della Sicilia come una sorta di inevitabile e dimenticabile snodo tra la precedente cultura araba siciliana, tutta dedita all'arte e alla tolleranza, e il successivo regno di Federico II, illuminista ante litteram.
In realtà, soprattutto per i cristiani, la vita era tutt'altro che facile sotto i saraceni. I cristiani, pagando una tassa, accedevano alla condizione di dhimmi, cittadini di seconda scelta che, secondo il «Patto di Omar», non potevano costruire chiese o monasteri né riparare gli edifici in rovina, non potevano montare a cavallo con sella, né portare armi, professare in pubblico la propria religione e così via. Non deve sorprendere che, in tali condizioni, molti cristiani si convertissero all'islàm, al punto che papa Urbano II (1088-1099) poteva scrivere: «... dopoché in Sicilia erasi pressoché estinto il culto cattolico, Iddio, la cui saggezza e potenza muta i tempi e i regni, aveavi mandato Ruggieri, prode guerriero, il quale aveala finalmente liberata dalla servitù dei gentili». Anche papa Pasquale II (1099-1l18) si espresse in termini analoghi.
Desumo queste informazioni dal nuovo saggio di Pasquale Hamel, appassionato studioso di storia siciliana, L'invenzione del regno (Nuova Ipsa Editore, Palermo, pp. 200, euro 14), che riconosce ai normanni il merito non piccolo di aver ricondotto la Sicilia in seno alla cattolicità.
Erano predoni e mercenari i normanni cattolici che si istallarono nel meridione d'Italia, e i fratelli Roberto e Ruggero d'Altavilla diedero lustro alla dinastia. Roberto il Guiscardo (1025-1085) si occupò soprattutto di conquistare la Puglie e la Calabria, e verrà nominato Duca da papa Nicolò I nel 1059. Il più giovane Ruggero (1031-1101), dopo alcuni contrasti col fratello, accettò di esserne vassallo, e si occupò soprattutto della Sicilia.
Il primo sbarco di Ruggero a Messina, nel 1060, avvenne con soli sessanta cavalieri: insomma, una scorreria. Il secondo sbarco ebbe luogo con centosessanta compagni, ma fu l'alleanza con l'emiro di Siracusa-Catania, ibn at-Thumma, a convincere i fratelli Altavilla a marciare su Palermo, approfittando della divisioni fra gli emiri arabi. Palermo fu conquistata nel 1072, ed è notevole che gli Altavilla condividessero le gesta con le rispettive mogli, amazzoni e guerriere: Sichelgaita, principessa longobarda consorte di Roberto, e Giuditta d'Evreux, giovane moglie di Ruggero.
Sarà poi Ruggero II, il figlio che Ruggero I ebbe da Adelaide di Monferrato, a unificare i territori siciliani e a diventare il primo Re di Sicilia, titolo assegnatogli dall'antipapa Anacleto e poi confermato dal papa Innocenzo II. È Ruggero II il grande personaggio dell'epoca, abile diplomatico e tendenzialmente pacifico (per quanto consentito dai tempi), tollerante e promotore delle arti, come testimonia la Cappella Palatina da lui fatta costruire, in cui il gotico, la navata latina, i mosaici bizantini e l'arte araba del soffitto, si armonizzano in una sintesi mirabile.
I prolifici signori d'Altavilla ebbero una prevalenza di figlie femmine, e infatti la dinastia si concluse con Costanza (1154-1198) figlia che Ruggero II (dopo due vedovanze) ebbe da Beatrice di Rethul. Andata sposa a Enrico VI di Svevia, figlio del Barbarossa, Costanza generò Federico II, Stupor mundi. Ma questa è un'altra storia, di cui l'avvincente saggio di Pasquale Hamel, documentato e leggibile come un racconto d'avventure, costituisce l'intelligente antefatto.
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