Fino alla mezzanotte, la sera del 31 dicembre 2020 a Milano era stata silenziosa. Nessuno nelle strade buie, non un'eco di veglioni. Un Capodanno muto, mai visto. Ma, allo scoccare del 2021, di colpo una grandinata di petardi, raffiche di fuochi d'artificio, e tappi di spumante che esplodevano. Mi sono affacciata: fuochi, fuochi, e per strada ragazzi chiassosi che gridavano: «È finito! È finito!». Più che festeggiare il 2021, quest'anno, molti giubilavano il 2020: l'anno della prigionia in casa, degli amici lontani, dei lutti, dei progetti spezzati. E sparavano dietro all'anno in fuga: sembravano, quei botti, colpi di cannone a inseguire un esercito in ritirata. Il 2020 finito, un anno intonso davanti, e il vaccino che, forse, ci salverà, speravano a Milano - e a Roma, a Napoli e altrove, mi hanno detto. Gli uomini sono come bambini, ho pensato allora, in un'inconsueta tenerezza: sperano sempre, ostinati. Come ha scritto Charles Peguy:
«La speranza, dice Dio, mi stupisce. Questo è stupefacente. Che quei poveri figli vedano come vanno le cose e che credano che andrà meglio domattina. Questo è stupefacente ed è proprio la più grande meraviglia della nostra Grazia. E io stesso ne sono stupito. E bisogna che la mia Grazia sia in effetti di una forza incredibile». Sì, una tenerezza inconsueta. Per quello sperare, ostinati: andrà meglio, domattina.
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