Ci sono stati artisti che hanno raccontato con poesia chi siamo. Ce ne sono stati altri che sapevano denunciare le storture con lucidità. Altri ancora hanno regalato rime ai valori. E poi c'è stato Enzo Jannacci. Uno che alla sera faceva il saltimbanco e la mattina dopo pronto soccorso, d'inverno cabaret e d'estate volontariato per extracomunitari.
A uno così, le canzoni nascevano nell'anima: e venivano differenti dalle altre, centrate su valori veri e saldi, perciò capaci di indignarsi senza pietà.
Soprattutto quando le dedicava ai ragazzi, da padre prima ancora che cantautore, dopo aver vissuto sino a macerarsi i giorni tragici dei morti per eroina e del sangue nei cortei, vedendo giovani smarriti cui gli adulti proponevano solo "concerti" di divieti, prediche, maschere. «E allora i ragazzi domandavano, non gli rispondevano… E allora i ragazzi si fidavano, ma sbagliavano, non capivano che era tutto un no! E allora i ragazzi sparavano… E allora i ragazzi si ammazzavano! Ma per morire si nascondevano, si vergognavano… …E allora concerto, concerto, concerto! Un concerto per dirvi… Che c'è magari qualcuno tra voi, che tra uno sputo e una spinta troverà un'altra penicillina, altre forme d'amore, forse un po' più di grinta: per cacciar via tutti gli imbroglioni… I cantanti… Cioè noi».