«Obbedire al tempo» è principio della saggezza classica, in particolare stoica, la quale identificava volontà e fato, ragione e natura, microcosmo e macrocosmo secondo un'armonia e un fine prestabiliti: per questo l'universo era definito kósmos, “ordine”. Ma la stessa dottrina stoica, oltre al dovere di obbedire al tempo e di adattare se stessi alle circostanze, teorizzava anche la possibilità di comandare al tempo e di piegare gli eventi all'uomo: il saggio, insegna Seneca, è più forte di qualsiasi avversità (La provvidenza 2 est enim omnibus externis potentior) e interiorizza qualunque avvenimento (2, 1 quidquid evenit, in suum colorem trahit). Si instaura, così, una lotta e una sorta di rapina reciproca tra l'uomo e il tempo: da una parte quella che il tempo rapace (rapax), corrosivo (edax), fuggitivo (fugax) fa all'uomo; dall'altra quella che l'uomo fa al tempo, cogliendo l'attimo (carpe diem), vivendo l'immediatezza (protinus vive). Questo duello col tempo rispondeva da un lato al principio che «solo il presente esiste» (Crisippo, I frammenti degli Stoici II 509 Arnim), dall'altro all'identificazione del tempo (meditatio temporis) con la morte (meditatio mortis): la morte non ci porta via con un gesto veloce e violento, ma ci assottiglia lentamente ogni giorno, ogni ora, ogni istante (Seneca, Lettera 120, 18 mors carpit, nos non corripit).
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: