Una del tutto casuale coincidenza mi consente di incrociare, nell’infosfera ecclesiale, due post che tessono, con ottime ragioni, un elogio della danza. Il primo è firmato su “Re-blog” da Maria Elisabetta Gandolfi (bit.ly/3oFdyGM): è una giornalista religiosa (da tempo caporedattrice della rivista “Il Regno”), ma la sua riflessione si trattiene stavolta su un piano profano, sfiorando il sacro solo per il metaforico «miracolo» attribuito a Strauss. Racconta infatti di una scuola media che organizza, a ogni fine anno, un «gran ballo» per gli alunni di terza, consistente in danze ottocentesche faticosamente insegnate dai «prof» di una scuola di ballo. Il fine pedagogico, «suggerire una modalità autentica e misurata di vivere le relazioni tra coetanei, in particolare dell’altro sesso, grazie anche a un’“etichetta” d’altri tempi che fa da confine e da regolatore all’incontro reciproco», viene raggiunto, a dispetto delle apparentemente disastrose prove. Infatti nel primo valzer «nessuno sbaglia», e così nella quadriglia e nella contraddanza; alla fine gli studenti «invitano i genitori a ballare» e «spiegano loro con fare saputo» come si fa. Ecco il miracolo. O più semplicemente, commenta Gandolfi, «i nostri ragazzi hanno bisogno di riti di passaggio, di eventi che marchino un prima e un dopo personale e sociale». Il secondo, su “Aleteia” edizioni francese e inglese (bit.ly/3CbsP54), si deve a Jeanne Larghero, insegnante di filosofia e scrittrice oltre che collaboratrice abituale della testata. Qui lo spettro si allarga a tutte le età, e chiama esplicitamente la figura biblica del re David, insieme ai lettori di Jane Austen e agli spettatori di Bruce Springsteen, a testimoniare che danzare «è provare la gioia di crederci amati, la gioia di sapere che domani il sole sorgerà ancora per noi, per gli uccelli del cielo e per i gigli del campo». E che il ballo è una scuola di spensieratezza, di libertà, di giusta misura e anche di riconciliazione: «Con il nostro corpo goffo, impacciato, troppo così o troppo cosà, ma sempre capace di farsi portare dalla musica», e «con chi amiamo: ci teniamo di nuovo per mano, ci prendiamo per la vita, camminiamo con lo stesso passo». Ballare, conclude Larghero citando 1Cor 6,19-20, «significa accettare te stesso per come sei, ed è così che Dio ci ama».
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: