Quanto parla, il ragionier Sarri, e quante ne dice. Sono tentato di regalargli - come feci in passato con altri magniloquenti - un libricino prezioso, L'Arte di tacere, capolavoro dell'Abate Dinouard. Un modo come un altro - va detto - per evitare ogni rapporto con i permalosi. E Maurizio Sarri è permaloso, dippiù: è perennemente accigliato, ed è un peccato, perché certi suoi amici aretini lo dicono anche ironico, brillante conversatore. Ufficiosamente. Ufficialmente è un tecnico che, appena sbarcato in Serie A s'è fatto subito un nome, prestissimo anche un cognome, non per fortuna ma con merito; poi ha richiamato l'attenzione dell'Europa, fors'anche del mondo: ma si comporta come se fosse ancora il trainer del Sansovino, promozione toscana. A proposito di Toscana, s'è appena azzuffato con Allegri e Spalletti, criticandoli come quello che mette le mani avanti e ricevendo risposte telegrafiche da entrambi: da Max un gol di Higuaìn nel confronto diretto di venerdì scorso, da Luciano la conquista del primo posto in classifica che gli era appartenuto per quattordici giornate. Ma questo è nulla per uno che aspira al titolo farinacciano di “suocera del regime calcistico”, virtuoso del taglia-e-cuci e tuttavia concorrente di Mazzarri sul fronte del lamento (Sarri è specializzato in terreni infami, Nazionale disturbatrice, orari di campionato - guai alla mezza! - e fatturati altrui) e di Benitez per quel che riguarda il tema tecnico/tattico. Ecco, questo è il suo fronte vincente, almeno in teoria, perché ha prodotto con il Napoli il calcio più bello purtroppo portando a casa poco o nulla, non ancora lo scudetto che l'avvicinerebbe a colui che seppe sospendere con il Napoli l'egemonia juventina (l'Avvocato parlò di scudetto in libera uscita) pur giocando la grande sfida senza parole: Ottavio Bianchi, l'uomo che parlava con gli occhi e con quelli ti sfotteva pure (lo ebbi ospite al Corriere dello Sport, era il tecnico della Roma, in un forum con il collega della Lazio, tale Dino Zoff, noto chiacchierone - da silenzio stampa - che rispondeva alle domande anche per lui). Stava migliorando, Sarri, con un atteggiamento tattico meno dedito all'estetica, più concreto, ma proprio quando è arrivato il primo esame importante, con l'Inter, s'è dovuto accontentare di
un pareggio. Con la Juve, invece, di una onorevole sconfitta, e l'unica cosa buona che ha fatto è stato difendere la tradizione condannando le improbabili casacche grige del Napoli e quelle gialle della Juve. Come diceva quel vecchio pugile che viveva nottedì al Bar Sport di Rimini: «Lui me ne ha date, ma io gliene ho dette!».
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