venerdì 13 gennaio 2023
«Vederci come gli altri ci vedono è uno tra i doni più salutari» sosteneva Aldous Huxley impostando così, con le sue «porte della percezione», un paradigma identitario imbastito sulle traiettorie dei reciproci sguardi. Quel «guardarsi da fuori» che cementa un essere sé stessi scaltro nel suo introiettare le percezioni altrui. Un po’ come un gioco di società prezioso che talvolta si fa da ragazzini, in cui si deve indovinare da quale dei giocatori presenti sia stato formulato un dato giudizio-aggettivo su di noi. Capire come veniamo capiti, cogliere come si viene còlti, e di lì districarci nelle interazioni col mondo. Non è una griglia cervellotica di proiezioni, non un pirandelliano gioco proiettivo, piuttosto il dipanare quella matassa altrimenti inestricabile che è il nostro apparire “fuori”, il nostro irradiare ed emanare. «Vederci come gli altri ci vedono» è tappa di autoindividuazione necessaria, ben diversa dal diventare quel che gli altri osservano di noi. La libertà al contrario di saper dipanare lo scarto, divenuti consapevoli della nostra immagine esterna, captare il punto che separa l’essere autentici da un astratto corrispondere a quell’immagine. «Uno tra i doni più salutari» se usato come strumento, mai come scopo. Vederci da fuori per meglio guardarci dentro. © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: