Luigi Sturzo: prete, economista, sociologo, sindaco, deputato, fondatore di partito, esule e poi senatore a vita, dopo la fase preparatoria in sede diocesana - 154 testimoni e l'esame di 50 volumi di scritti vari - forse futuro beato come “apostolo della politica”. Apprezzato nella sua Chiesa? Ora certamente, in passato qualche resistenza. Stimato in ambienti lontani: per Gaetano Salvemini era «un'Himalaya di certezza e volontà». Sesto figlio di un aristocratico di campagna, nasce a Caltagirone il 26 novembre 1871. Prete a 23 anni, ma a 20, nel 1891 la rotta della vita gli viene dalla Rerum Novarum di Leone XIII. La Chiesa si affaccia sul balcone delle rivoluzioni sociali e lui, a Roma per studio, a Pasqua va a benedire le case e scopre il dramma della povertà di tanta gente. È la svolta: conosce e frequenta grandi cristiani inquieti come Romolo Murri e Giuseppe Toniolo. Quando torna a Caltagirone fonda le prime sezioni operaie: in parrocchia. Organizza casse rurali e cooperative. Per lui contadini e operai debbono diventare anche proprietari. Scrive sui giornali, scandalizza agrari e mafiosi. A Roma qualcuno si preoccupa: teorizza meridionalismo e autonomie comunali. Con lui nasce il municipalismo cattolico: base di ogni vita civile è il Municipio. Nel 1902 organizza un movimento di cittadini: alle elezioni locali 7 seggi su 40, ma nel 1905 è maggioranza. Lo fanno pro-sindaco, per aggirare il divieto papale della politica, e resiste per 15 anni. Disturba anime pie e pescecani antisociali, concepisce un vero e proprio programma politico-sociale, fonda il Partito Popolare e nel 1919 lancia il famoso appello ai “Liberi e Forti”: cattolici, ma indipendenti in politica da ogni autorità ecclesiastica, democratici, non conservatori, in mezzo alle lotte di tutti. Oggi pare normale, allora un putiferio: modernista, rivoluzionario e pericoloso! Va avanti con il suo Partito: ne è segretario fino al 1923. Anni terribili dopo la prima Guerra: di lotte e di crisi. È arrivato il fascismo e lui presto depone le illusioni.
In “alto” qualcuno se le fa ancora e questo prete antifascista diventa scomodo in vista dell'avvento di Benito Mussolini: sarebbe un ostacolo al futuro. Il segretario di Stato, Pietro Gasparri, gli ordina di dimettersi da segretario del Partito - che Mussolini presto scioglierà - e di andare in esilio. Obbedisce: è il 1924. Prima Londra, poi Parigi, e dopo il 1940 New York: per 22 anni esule dalla patria e visibilmente anche dalla Chiesa ufficiale… Per prudenza, pur a guerra finita, lo fanno tornare solo dopo il referendum fra Repubblica e Monarchia: era fervente repubblicano, e la cosa in alto non piaceva. Ha pensato e scritto: sociologia, economia, istituzioni, ma anche teologia e Bibbia. Gli ultimi 13 anni li passa a Roma, scontroso e riservato, coltivando il sempre più forte rapporto con Cristo, con la cultura e con gli uomini di potere, ma come servizio, fino in fondo… Nel 1952 il laico Luigi Einaudi, allora presidente della Repubblica, lo nomina senatore a vita, e lui attende il permesso di Pio XII: arriva, e accetta. L'Italia intanto cambia: sempre ritirato, ma disposto al dialogo con tutti… Dopo sette anni, 18 agosto 1959, “toglie il disturbo”. In Vaticano papa Giovanni XXIII lo ricordò così: «Non ha nulla da rimproverarsi. Altri dovrebbero chiedere perdono a lui. La Chiesa lo ringrazia per l'esempio di virtù sacerdotali, l'onore resole con le sue pubblicazioni, la sua generosa ed eroica accettazione dell'esilio e soprattutto per aver sempre lottato con amore e perdonato evangelicamente». Tra santi, beati e dintorni ci si capisce sempre: Angelo Giuseppe Roncalli, “lumbard” da Bergamo, e Luigi Sturzo, siculo da Caltagirone, così uguali e così diversi. Due lezioni di vita e di fede. Anzi: forse una sola, quella che conta davvero.
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