Don Attilio era un prete piccolo piccolo e non si era certo rimpicciolito con la vecchiaia. Anzi si racconta che quando lui era stato sacerdote novello mancava il prete in una frazione così piccina nella quale, al di là della chiesetta, mancava tutto ma proprio tutto, come in certi racconti di Cesare Zavattini dedicati ai suoi appenninici paesini natali. I sacerdoti interpellati cercavano di scansare quella sede, finché a qualcuno in curia, pare sia venuta questa frase: «Ma sì che ce l'abbiamo un mezzo prete da mandare lì», il mezzo prete naturalmente era lui, che ringraziò il cielo per quella assegnazione. Non fece mai nessuna carriera, né in parrocchia, né in curia, tantomeno in Vaticano. Quando c'era un ritaglio, uno scarto, un luogo senza pretendenti, quella era la sua sede ideale, il luogo del suo trionfo, della sua felicità. Non solo questo però. Il suo candore giunse a molte orecchie. Così i più svariati imbroglioni lo raggiungevano per carpirgli qualche soldo. Quando lo conobbi e vidi i suoi occhietti mobilissimi e vispi, mi feci l'opinione che don Attilio si lasciasse imbrogliare, perché anche questi sciagurati potessero mangiare senza sproporzionate conseguenze. Sono storie cristiane che ben conosceva Victor Hugo, nello scrivere i suoi Miserabili. Se ne accorse, credo, anche il suo vescovo che nominò, alla fine, don Attilio monsignore: per tutta la vita, mai nulla aveva chiesto per sé.
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