Preoccupato dai modi più chiassosi diffusi in Rete, come affermare senza argomentare, offendere, coltivare pregiudizi, mi sorprendo piacevolmente quando un suo nodo mostra che è possibile comportarsi in controtendenza, a maggior ragione su temi massimamente divisivi come quelli che toccano l'incontro tra religioni e culture diverse. Mi godo perciò un post pubblicato da Ignazio De Francesco sul proprio profilo Facebook ( tinyurl.com/y7xayesb ) il cui incipit suona: «Riflettendo sul velo».
Dell'autore il web racconta che è un monaco della Piccola Famiglia dell'Annunziata e che ha studiato molto e bene il Corano, il pensiero islamico (in particolare le sue fonti ascetiche) e la cultura araba, pubblicando diversi saggi (più l'atipico "Leila della tempesta", di cui Avvenire si è ripetutamente occupato) e coordinando progetti di dialogo interreligioso. Quando sta su Facebook non tradisce sé stesso: così questo suo post sul velo, che è pubblico, non punta sulla fotografia, che pure c'è ed è bella; impegna quasi 3mila caratteri (una volta e mezzo l'articolo che sto scrivendo); cita sure e termini della lingua araba (con doppia grafia) nonché statistiche digitali; propone una lettura del precetto complessa: dalle fonti coraniche, alla funzione identitaria, alle ragioni giuridiche.
Ma la prospettiva che mostra interroga lui e chi legge ben al di là della speculazione intellettuale e anche del solo confronto tra religioni e culture: «Anche per l'abito, come per tante altre cose, noi uomini trasferiamo volentieri sulle donne i nostri problemi», suona l'affermazione più diretta dell'intero scritto. Il tutto gli fa guadagnare reazioni e condivisioni in numero molto superiore alla media del suo profilo, considerando anche il numero di 1.500 "amici", e soprattutto innesca una lunga conversazione a più voci dove anche i dissenzienti, educati ma fermi, trovano spazio e pacate repliche. Perché, come dice, a lui «non interessa fare apologia per qualcuno o contro qualcuno, ma "soltanto capire».
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: