domenica 29 gennaio 2017
«Dio non è abruzzese»: con questo titolo, che domina tutta la sua prima pagina, il Giornale credeva (mercoledì 25) di aver risolto, dopo la tragedia dell'elicottero precipitato, ogni questione sulla creduta responsabilità divina dei terremoti. A questa affermazione l'articolo aggiunge una citazione di Isaia (46, 9-11 «Ricordatevi i fatti del tempo antico… Così ho parlato e così farò») tanto fuori luogo che gli fa confermare prima che «in Abruzzo non si hanno notizie della presenza del Creatore» e poi che là «il Creato formato dal nulla nulla è tornato ad essere».
Potremmo notare che, tra le sue "prime nozioni", il semplicissimo Catechismo di San Pio X afferma che «Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo, Egli è l'Immenso». Richiamo questo, però, probabilmente inutile, perché in quel titolo e nel testo che segue si trova più ignoranza che intenzioni blasfeme. La conclusione, però, è piuttosto scombinata: «È il destino, è un Dio anonimo, che nessuno conosce, l'alibi per proseguire».
Tanta ignoranza che il giorno successivo e sempre nella prima pagina del Giornale lo scrittore Rino Cammilleri (un buon cristiano che in un suo libro domanda "Dio è cattolico?") ha dovuto replicare con un articolo dal titolo abbastanza equivoco, perché sembra confermare l'articolo cui replica: «Terremoto, perché Dio è anche abruzzese». Questo spiacevole episodio, in ogni caso, non è un caso isolato: dovremo occuparci del linguaggio perlomeno "esagerato" che i giornali usano quando trattano della Chiesa o della religione.

PAROLACCE
Il linguaggio triviale dilaga nel parlare, sui giornali, nel cinema, nella stampa, tv, radio, letteratura, nelle canzoni. Già poco tempo fa qui si era parlato della volgarità di giornali, radio, tv. Giovedì scorso, per esempio, sulla prima pagina di Libero sembrava di essere in un'osteria. Ci sono alcuni politici (Grillo, Salvini) specializzati in materia. Il M5S «ha fatto del "vaffa" un programma politico» scrive il Corriere della sera. Che le stelle siano le scurrilità? Finalmente il Corriere (martedì 24) si domanda: «Perché diciamo sempre più parolacce e sempre più acuminate?». Ecco alcune risposte tutte difensive: la parolaccia «dà peso alla parola, è liberatoria, è un carico simbolico, aiuta a sopportare il dolore, quando la violenza è condannata non resta che la parola, è un sostituto della spada... In metropolitana si ascoltano rosari pagani, questa è un'epoca scurrile... ma anche Dante nella sua Commedia...». Un vero elogio e il Corriere si ferma qui. Eppure, rimedi ce ne sono: per esempio i freni inibitori che ogni uomo possiede come dono del Creatore, il ritorno alla buona educazione in famiglia e soprattutto l'amore del prossimo e, quindi, anche di se stessi. Gesù insegna che «chi avrà detto a suo fratello "raca" (cioè sciocco) sarà sottoposto al Sinedrio; e chi gli avrà detto: "Pazzo!" sarà condannato alla geenna del fuoco» (Mt 5, 21ss).
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