«Difendere il congiuntivo a scuola» Certo. Ma forse senza troppo zelo...
venerdì 14 giugno 2024

Caro Avvenire,

sono un insegnante di Lettere indignato dalla proposta assurda di eliminare l’uso del congiuntivo dalla lingua italiana. Lo ha difeso su queste colonne Massimo Onofri. Abolirlo è spegnere la speranza. È cifra di un tempo assertivo e “imperativo”. Schiacciato sul presente. Incapace di futuro. Carente di distensio animi. Il congiuntivo è il modo del dubbio e del desiderio: anima della vita. Incoraggiarne l’uso a scuola, non è accendere sogni e domande?

Vito Melia


Caro Melia, in quanto docente, è lei l’esperto di lingua italiana. Ma non mi sottraggo alla difesa di un modo verbale che, concordo con lei, è anche una modalità di guardare il mondo. Rende più ricco il nostro ventaglio espressivo e ci tiene legati a una lingua splendida che è un delitto impoverire. Tuttavia, dato che come detto non sono un cultore della materia, voglio dare spazio anche a qualche altra considerazione. A noi “diversamente giovani” che abbiamo avuto la fortuna di potere studiare e trovare insegnanti capaci e appassionati, crea sempre un brivido sgradevole sentire o, peggio, leggere: “Pensavo che venivi anche tu”. Poi mi torna in mente che un famoso editore non scelse un grande giornalista come direttore del suo quotidiano perché portava i calzini corti sotto l’abito scuro (ma lo richiamò più avanti). Non rischiamo di scavare fossati di classe e di censo nascondendoci dietro il congiuntivo? Il sociologo francese Pierre Bourdieu ha spiegato bene come si costruiscono queste barriere simboliche che sono funzionali (anche) a mantenere gerarchie e privilegi. Sono sicuro, caro Melia, che il suo slancio per l’italiano corretto è autentico e generosamente orientato a includere tutti. La distensio animi cui lei accenna, tratta immagino da Agostino, è la maniera in cui la nostra mente sperimenta e unifica il passato, il presente e il futuro, rendendo il concetto di tempo comprensibile e sperimentabile dall’essere umano. Certo, abbiamo bisogno del dubbio, del desiderio, di sogni e domande. Mi domando però non se il congiuntivo sia l’unica via, ma se non dobbiamo trasmettere il sapere con una sensibilità più vicina a quella dei tempi in cui viviamo, senza pretendere che modelli antichi siano ancora riproponibili senza aggiustamenti.Ho appena visto una ricerca scientifica da cui si evince come i titoli di articoli pubblicati sul web che contengono parole difficili siano (congiuntivo!) saltati sistematicamente da molti lettori. Fin qui nessuna sorpresa. Il punto è che gli estensori di quei testi non si accorgono della differenza - sta qui la scoperta -: per loro non sono “complessi” e diversi da quelli percepiti come più semplici dagli utenti. Evitiamo, se possibile, di commettere lo stesso errore in altri ambiti. Ho un po’ scherzato, mi perdonerà, per non fare una noiosa laudatio temporis acti (apologia del passato). In definitiva, per me, il congiuntivo va preservato, ma con giudizio e non a qualsiasi prezzo. Facciamo un bilancio costi-benefici. E vediamo da che parte pende la bilancia della cultura viva e feconda che dobbiamo trasmettere, questa sì senza alcun cedimento, ai nostri giovani.

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