giovedì 12 marzo 2020

Parole in libertà, in giorni senza libertà: chiusi per virus, non possiamo fare. Ma possiamo continuare a pensare…

Giorno 1

L’ora d’aria è quella della spesa. Non avrei mai creduto che entrare in un supermercato diventasse la cosa più eccitante che resta da fare una volta oltrepassata la porta di casa. Anzi, l’unica. Perché adesso, pare, non si può nemmeno correre. Una delle poche conseguenze belle del virus fino a ieri si affrontava con le scarpe da ginnastica: mai fatto in vita mia, ma questa è un’altra vita, viene voglia di provare qualunque cosa per vedere l’effetto che fa. C’è il tempo adesso, anche troppo. C’era. Ora è non è più previsto dal regolamento: vietato camminare velocemente, anche ben distanziati: non si suda in compagnia, e nemmeno da soli. Provo a capire, ma non ci riesco. Allora cerco conforto al Super: un’ora di coda per entrare, qualcuno protesta. Chissà cosa avrà di urgente da fare, adesso che non si può fare niente. Tento di emozionarmi davanti a una melanzana, ma anche quella mi guarda male, come se mi implorasse di non toccarla, per favore. Ma stare a un metro da un peperone fa sentire stupidi, così decido di non avere pietà. I guanti ormai non servono più per evitare di tastare la frutta, ma per non toccare il manubrio del carrello. L’angoscia da polpastrello contaminato è una sindrome nuova, spiazzante. Cerco un paio d’occhi complici almeno davanti allo scaffale del tonno, niente da fare. Anche qui ci si guarda di sbieco: gira al largo gringo, l’aria è diventata preziosa, non se ne regala nemmeno un soffio a nessuno. C’è nervosismo dietro ogni angolo: non sai come e quando finirà, ma sai che dovrai scoprirlo da solo. Restate a casa: più che un’esortazione di massa, sta diventando un consiglio per non vedere il gelo che c’è fuori.


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